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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Dead Meadow - Shivering King And Others (2003)

domenica 12 ottobre 2008

Dead Meadow - Shivering King And Others (2003)


Etichetta: Matador

Anno: 2003

Tracklist:

I Love You Too
Babbling Flower
Everything's Going On
The Whirlings
Wayfarers All
Good Moanin'
Golden Cloud
Me and the Devil Blues
Shivering King
She's Mine
Heaven
Raise the Sails



Nei precedenti Dead Meadow e Howls From The Hills, era venuta fuori una band prolissa e roboante, pesante ed estremamente capace di coinvolgere con i suoi trip infuocati alternati a ninnananne stralunate. Ora, a parte l'ovvia maturazione nella tecnica e il chiarimento sulle idee e sulle intenzioni, c'è da registrare un dato molto semplice: vengono fuori le canzoni.Non un magma di jam polverose e crepuscolari, ma una serie di immagini (pur sempre sfuocate) poste una accanto all'altra, come perle di un rosario che scivola tra le dita di un duellante prima del duello.Dopo un po è stancante l'espediente, ma una musica così immaginifica è difficile da spiegare senza ricorrere a metafore, e se fin ora il congegno era quello del viaggio notturno o dell'indigestione di suoni che fa male fino a stonare (vedi Dead Meadow e Howls From The Hills), ora anche gli stessi Dead Meadow sono più concreti e a parte qualche episodio, propongono canzoni più brevi e più intense, meglio suonate, più musicali, e in realtà molto meno dedite alla reinterpretazione. Da hippy fuori tempo i Dead Meadow diventano formidabili interpreti della confusione dell'era post-millenniumbug. Non suonano ne antichi ne moderni, ma solo alterati, non suonano space rock ne stoner rock, ma il finale di I Love You Too richiama echi di chissà dove, e quell'evanescenza assorda e allo stesso tempo disorienta, marci e slabbrati, sabbiosi ma più che "desertici" sono inceneriti, bruciati, andati a male, e infatti il senso di canzone peritura, di fine imminente è sempre pronto a risucchiare tutto, in una paranoia senza fine, come in Everything's Going On, che spezza le ginocchia per la pesantezza di quell'atmosfera, come il duellante nell'attesa del duello: recita due preghiere, sputa due o tre maleparole e qualche bestemmia, e poi aspetta, aspetta attento e immobile, pronto a scattare o a schiattare, il che è la stessa identica situazione che si ricrea nel disco. Solo che il duello a volte non c'è nemmeno, c'è solo un po di polvere che si alza, qualche passante che scoppia in pianti isterici. E se la formula non è inedita, quantomeno in Babbling Flower è splendente più che mai, con un unico enorme lancinante solo di chitarra che è una esplosione blues che tra l'altro sa più di anni '90 che di naftalina. Nulla che sia recuperato dalla soffitta, spesso sembra solo di sentire i primi Radiohead sotto un'altra pelle, più acidi, o semplicemente più rozzi, o magari con i Radiohead non centrano nulla, ma non centrano più niente nemmeno con i Black Sabbath e Pink Floyd, ma si posizionano su territori sempre più personali e indipendenti, e se proprio devono rivolgersi a captare qualcosa dal passato, vedi un (per loro) inedito Zeppelinismo drogato in Whirlings, mistica e palpabilmente commossa, o forse è solo un po di polvere che brucia gli occhi dei duellanti, ancora fermi ad assaporare quel che resta dei filtri tra le loro labbra. Ormai è tutto finito, come quelle sigarette ridotte a un nulla, e tutto il disco è un po come fumarsi il filtro. Tutto bruciato, incenerito, faticoso come un parto gemellare, come la title track, durissima tutta singhiozzi e inerzia a colpi di coda metallici sempre eccessivi, colmi di sbavature fino alla deformità, o a volte anche ridotto all'osso, come la placida Good Moanin', che vede un netto miglioramento anche nei pezzi completamente acustici, prima confinati a un angolo tanto per prendere respire dal tour de force psichedelico, e invece ora parte viva dello show, come in un costante gioco di luci tra penombra e neon che fanno fatica ad accendersi tra mille sfarfallii, e dopo due finte si spengono di nuovo, corrotti, bruciati, finiti anche loro. Musica del collasso di nervi. Il momento in cui l'elastico di spezza e assume una forma diversa e non riconducibile a quella iniziale, corrotto, alterato.


Nel finale, la redenzione, dopo la rottura e da levastazione, il logorio interiore degli ultimi sgoccioli di vita, finalmente, il paradiso: Heaven, visione celestiale conclusiva di questo lungo viaggio al confine della vita. Tutto è finito e non resta che contemplare il cielo che ora si sgombra dai nuvoloni, giusto il tempo di abbozzare un altro inno folk rock al superamento della vita, la canzone dello scioglimento dei nodi, il pezzo che svela e annulla le contraddizioni, nella semplicità e nella pulizia di una chitarra che si erge su un tappeto di vibrazioni sottili e dense, l'ozono che si ritira, si alza e anche esso, come la vita, trascende, e nel viaggio forse emette dei suoni simili a Raise The Sails, suggestione conclusiva e definitiva fatta di poche note accennate e dilatate all'inverosimile, è tutto l'ambiente circostante che risuona, semplicemente la terra che si allontana, il mondo che si fa sempre più piccolo e relativo, nel contemplare l'inifinitezza dell'assoluto, man mano che il pezzo poi prende forma e si fa sempre più epico, definito e altisonante. Un volo enorme, come passare in due pezzi dal folk rock ad un muro sonoro post rock acido, ma questo forse è tutto il senso del disco, e quel marciume e quell'alterazione dell'inizio non era altro che la premessa necessaria per coniare una nuova formula dallo spettro enormemente più ampio rispetto a qualsiasi cosa mai fatta dai Dead Meadow.

John

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