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sabato 28 febbraio 2009

Anathema - Judgement (1999)

Sento il mio cuore bruciare
Nel profondo...bramando
So che sta giungendo


Anno: 1999
Etichetta: Music For Nations

Line Up:
Vincent Cavanagh - Guitar, Vocals
Daniel Cavanagh - Guitar, Keyboards, Vocals on 7
Dave Pybus - Bass
John Douglas - Drums

Tracklist:
1.Deep04:53
2.Pitiless03:11
3.Forgotten Hopes03:50
4.Destiny Is Dead01:47
5.Make It Right (F.F.S.)04:19
6.One Last Goodbye05:24
7.Parisienne Moonlight02:10
8.Judgement04:20
9.Don't Look Too Far04:57
10.Emotional Winter05:54
11.Wings of God06:29
12.Anyone, Anywhere04:51
13.2000 & Gone04:51

detonazione.

Un anno dall'ultimo disco. La distanza è così breve,le vicende,altrettanto imprevedibili. Ciò che si acquista,son due perdite. Che privano i fratelli Cavanagh dei loro equilibri nella quotidianeità della vita che in ambito musicale, per sfuggire dal dolore,si stringono alla loro comune passione,la terra d'origine attorno ad una tale babele,sembra così diversa e caotica,che decidono di partire.
La meta è un piccolo comune ligure con meno di trentamila abitanti , Ventimiglia li accoglie nei Damage Inc. Studios alle porte della primavera.
Nonostante i fratelli siano gli unici superstiti della lineup precedente a questo album,Judgement non si mostra come una presenza alterata nella discografia della band,mostrando semmai una maggiore dipartizione dei ruoli nella band, non più divisa tra due compositori, ma una partecipazione che comprende tutti e cinque i membri della band per almeno due composizioni ciascuno.
L'analisi è subito confermata dai pezzi di apertura, i primi quattro non sono altro che una furba suite organizzata in quattro episodi,completamente legate tra loro ma realizzate con una cura simile da acquisire un gran valore anche se ascoltate in maniera singola; Deep mostra il viso della malinconia crepuscolare in un velo di arpeggi delicati, Pitless parte all offensiva,graffiando l'aria con uno spirito energico ,subito troviamo il lato più acustico e intimista del rock. Destiny is Dead ne è il naturale prolungamento strumentale che sintetizza in pochissimi accordi l'alto valore delle geometrie sonore della band.
John Douglas realizza con Make it Right il suo primo brano interamente composto con gli Anathema,che nonostante una discreta struttura di archi e sovraincisioni vocali,non incide come dovrebbe, a seguire arriva uno dei cavalli di battaglia della band, La struggente dedica alla madre scomparsa prematuramente.Il segreto di One Last Goodbye risiede proprio nella sua semplicità, una composizione fresca e spontanea schiude la ballad come un dolce fiore di semplici e dirette parole, il nettare che sgorga è immediato quanto sentito, lontano però dalla banale retorica, accarezza il cuore lacrimante così ben interpretato dal crescendo dell'assolo finale.

Quanto ho bisogno di te
Come soffro ora che te ne sei andata
Nei miei sogni ti vedo
Mi sveglio così solo
So che non volevi andartene
Il tuo cuore desiderava restare
Ma la forza che ho sempre amato in te
Alla fine se ne è andata
In qualche modo ho capito che volevi lasciarmi in questo modo
In qualche modo ho saputo che non potevi mai... mai rimanere
E nella luce del mattino presto
Dopo una silenziosa notte serena
Hai portato via il mio cuore
e io soffro

La storia di un addio è il medesimo argomento narrato dalla timida voce di Lee Douglas in un vortice creato da un minimalista e raffinato giro di pianoforte per una Parisienne Moonlight a metà tra il brano sfuggente e un intermezzo elaborato.
La titletrack lascia intuire un proseguo sulle rilassate sonorità appena oltrepassate, ma sa mentire con un affamato ritmo in crescendo che divora l'urlo di angoscia,scaturendo un assalto del drumkit di Douglas in un perfetto fraseggio Thrash metal sorretto da una imponente chitarra ritmica ,ma il pezzo elude in una morte istantanea, cogliendo impreparato l'ascoltatore.
Riemerge il sole in Don't Look Too Far , nel placido abbandonarsi nella atmosfera ricreata e poi corrotta da un inserto acido delle sei corde, condizione analoga in “Emotional Winter” in ispirazione molto più floydiana nell intro con chitarre a dialogare tra echi e riverberi ,protagoniste anche in “Wings Of God” in una sorta di continua risposta impetuosa alle strofe di Vincent, in questo caso però i 3 minuti strumentali sarebbero stati da dimezzare o da approfondire con soluzioni diverse. E ciò dimostra il lato acerbo del Douglas compositore che si fa preferire nelle vesti di musicista, a differenza del nuovo acquisto(nonchè amico di vecchia data) Dave Pybus, che non possiederà certo in tocco e l'estro di Duncan ,ma mostra una discreta familiarità con il songwriting d'alto livello della splendida “Anyone,Anywhere”in collaborazione con l'italiano Dario Patti (Dayan Same,Voodoo Hill)autore di una ottima prestazione e della strumentale “2000&Gone”(di ispirazione al film 2001 Odissea Nello Spazio” che scorre sognante e ispirata a far da riflesso all'intera opera,ricca di atmosfere caldamente gelide,ove la tensione ha lasciato spazio a quella malinconia intesa come la felicità di esser tristi. Perchè comunque presenti. E loro rispondono con decisione all'appello ancora una volta.

Gidan Razorblade

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venerdì 27 febbraio 2009

Anathema - Alternative 4 (1998)


Anno: 1998
Etichetta: Peaceville Records

Line Up:
Vincent Cavanagh - Guitar/Vocals
Daniel Cavanagh - Guitar
Duncan Patterson - Bass
Shaun Steels - Drums

Tracklist:
1.Shroud of False01:37
2.Fragile Dreams05:32
3.Empty03:00
4.Lost Control05:50
5.Re-Connect03:52
6.Inner Silence03:08
7.Alternative 406:18
8.Regret07:58
9.Feel05:28
10.Destiny02:14

We are just a moment in time
A blink of an eye
A dream for the blind
Visions from a dying brain
I hope you don't understand




L'angelo pare essersi restaurato nel corso delle due copertine, è radicalmente mutato dalla figura che appariva in Eternity, una veste decisamente modernizzata, dallo sfondo incolore,a far risaltar maggiormente il non volto al centro della figura, celato o assente che sia, dona una sensazione di maggior introspettività e desiderio di restar confinati tra i propri pensieri ; anche se la spiegazione più materialista la conferì Daniel, nell' indicare come ispiratore, un libro chiamato Alternative 3 (di Leslie Watkins ) che forniva una spiegazione ipotetica su teorie che potessero prevenire la distruzione del mondo,la terza possibilità era lasciare il pianeta. Dunque gli Anathema con questa copertina da “Angelonauta” , vollero esprimere una loro aggiuntiva opinione per la salvezza.
Ma i membri della band sono in realtà 4,e non è detto che i pareri in un gruppo debbano essere unanimi, Duncan infatti motiva la scelta del titolo interpretando il libro sovracitato da un lato diverso, oscurando l'effetto, punta il dito sulla causa :la cospirazione che poi porta alla formulazione delle tesi. Ed è per questo che molte delle liriche dell'album hanno la Fiducia come protagonista.
Esordire così, rende la fotografia del gruppo (entrato in sala di registrazione a gennaio del 1998,per poi uscirne sei mesi dopo) sicuramente più nitida, la creatività corre impetuosa sull'asse Patterson /Danny Cavanagh alternati da tranquilli separati in casa,mentre Shaun Steels si accomoda dietro le pelli. Ci sarebbero tutte le attenuanti per una raccolta di per se discontinua, eppure l'omogeneità rappresenta uno dei molteplici punti di forza di questo capolavoro.
"Shroud Of False" è la risposta prima della domanda,un intro dolcemente cinico affidato ad una unica strofa intrisa di significati,poi va via tra gli echi e i pensieri destati con esso, ci raggiunge "Fragile Dreams" tra una divina sezione fiati accompagnato da un crescendo di batteria culminante in un riff memorabile che ha la sua evoluzione solo poco prima che subentri il cantato,il risultato è di una emotività disarmante. “Empty” è decisamente il brano più catchy dell'opera, presentando una batteria addirittura programmata,Vincent riesce a fornire con la sua interpretazione vocale la rabbia all'intero pezzo,ottenendo una tregua solo per un breve intermezzo di pianoforte. Lo stesso strumento, contorna di note raminghe la confessione intimistica del vocalist nella successiva “Lost Control” delicatamente dissanguata da un fiume di violini. “Re-connect” è l'unico brano che spezza la dittatura compositiva del duo,è appunto firmata dal cantante, un vestito di accordi perfettamente indossato dai suoi numerosi cambi di registro.
L'inaspettato momento di serenità giunge con “Inner Silence”, filtrato di una tenera rassegnazione, sotto l'incisività delle pelli di Shaun ,la band continua a viaggiare nelle emozioni più introspettive dell'animo umano,senza soste ne retorica. Capolavoro strutturale è la titletrack, Duncan arpeggia nervoso un giro paranoico,turbinato dalle spaziali tastiere lisergiche, si manifesta la quarta alternativa:l'olocausto dell'umanita. Nel gelo di un ritornello che non esiste. È silenzio. È poesia eretta da un fraseggio di batteria e chitarra che squarcia la tensione accumulata.
Danny introduce altre novità nel sound della band, un hammond (!) si fa spazio nell'aria di una timida chitarra acustica,e la carica emotiva del fratello, ornata da cori e archi ,il risultato è ciò che le parole possono solo intrappolare, limitative in questo turbine di “sapori uditivi” assaggiati in 8 minutie nemmeno un secondo offerto alla noia. Patterson firma la strada verso la fine, la dolceamara “Feel” dai contorni organistici quasi religiosi ,e “Destiny” , incentrata nel gotico giro di tastiera (se ne risentirà il richiamo nella seconda parte di Going Nowhere quattro anni dopo, incluso nel primo cd dei suoi Antimatter) che accompagna la speranzosa preghiera di Vincent ,la ninna nanna che addormenta il dolore ,consegnadoci una pietra miliare degli anni novanta, frutto di emozioni catturate in dieci composizioni in maniera cosi efficace, da sentirle pulsare ogni volta,come insegna la fine del sesto brano.

When the silence beckons
And the day draws to a close
When the light of your life sighs
And love dies in your eyes
Only then will I realize
What you mean to me.

Gidan Razorblade

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giovedì 26 febbraio 2009

Anathema - Eternity (1996)


Anno: 1996
Etichetta: Peaceville Records

Line Up:
Vincent Cavanagh - Guitar/Vocals
Daniel Cavanagh - Guitar
Duncan Patterson - Bass
John Douglas - Drums

Tracklist:
1.Sentient02:59
2.Angelica05:51
3.The Beloved04:44
4.Eternity, Part I05:35
5.Eternity, Part II03:12
6.Hope (Roy Harper cover)05:55
7.Suicide Veil05:11
8.Radiance05:52
9.Far Away05:30
10.Eternity, Part III04:44
11.Cries on the Wind05:01
12.Ascension (instrumental)03:20


Tre settimane nel freddo Gallese,e la mutazione arriva, spontanea come non mai. Siamo nel 1996, e l'allontanamento di una band da sonorità estreme verso lidi rock più intimistici non è ancora considerata un'evoluzione comune, era chiaro che per scalar le vette del successo,la band avrebbe potuto tranquillamente realizzare un The Silent Enigma 2 per far fruttare le casse, ma sarebbe stato come congelarsi, in quella umidità anglosassone. Così dalle tetre statue dei primi artwork stavolta emerge solo un candido angelo contornato di tinte lisergicamente acide di uno spazio sconfinato Il filo conduttore resta, il Doom è presente nella sua essenza eterea ,respirabile nel sapore della sconfitta, della certezza della perdita. Emerge però un tenue sole alla distanza che ridisegna la filosofia della band, la nascita di un qualcosa. Vien persino celebrato nell'intro “Sentient” ,il vagito del neonato cullato dalle note della (ancora per poco) Guest al piano&tastiere , Les Smith che celestialmente accompagna le corde di Daniel.
Un inzio sussurrato del quartetto di Liverpool, che accende la disperazione all'unisono con gli amplificatori nella successiva “Angelica” ,divenuto oramai un classico delle setlist dei live,i riff lasciano spazio a vere e proprie composizioni strumentali intorno alla tragicità romantica della voce di Vincent, la somma è una autentica perla di nera passionalità. “The Beloved” scala la cima dell'intensità collegndosi al brano antecedente, è rabbia che sanguina dalle casse degli amplificatori , la risposta prima della domanda. Che giunge successivamente a metà della composizione.
Quasi a voler dare uno stampo prog, ci troviamo di fronte ai primi due frammenti di titletrack, il primo dai ritmi sostenuti che esplodono al culmine di quel “do you think we're forever?” e orchestrazioni spettrali di tastiere e un outro addirittura elettronico ,”Eternity part2” unisce passaggi onirici di voci distorte, ruscelli che scorrono,Michelle Richfield (che ritroveremo nel progetto Antimatter) conclude con tre semplici parole ,esaltate da una notevole delicatezza, questo omaggio alla scuola floydiana . A segnalarne ancor più marcatamente l'influenza, è la successiva cover “Hope” ,scritta appunto da Gilmour per Roy Harper , ed è proprio quest'ultimo ad introdurre le note con uno spoken, il dialogo successivamente si fa duplice, la chitarra quasi si estrane in un giro ossessivo a spirale che ingloba il cantato che raggiunge l'estasi nel ritornello poi affiancato da echi syntati .
È il cuore del disco, offerto dal pezzo forse più cupo della raccolta, “Suicide Veil” ,il doom spogliato e rivestito da musicisti esperti, ma innanzitutto dalla sensibilità di uomini capaci di fondere i ritmi sostenuti e tastiere decadenti tipiche del genere, con l'enfasi interpretativa di Vincent nel ritornello. Una piacevole coda strumentale poi sfuma senza abbandonare la mente.
Radiance” fa da specchio alla produzione del disco, povera e scarna, che non intacca la bellezza del disco anzi, la risalta, nella crudezza delle sonorità ,allontanando del tutto possibilità di deja vù, nonostante ciò, è l'arte psichedelica della chitarra di Danny a riaddrizza le sorti del pezzo che altrimenti sarebbe da valutare un gradino sotto gli altri. La penna di Duncan tinge nuovamente l'album di torbida introspettività nella successiva “Far Away” , gravitato intorno alla ipnotica nenia del ritornello e ai ripetuti scambi d'intesa tra le sue quattro corde e la chitarra acustica . Strumenti che proseguono il dialogo nella successiva “Eternity part 3” , Douglas trascina questa marcia doom (che elude solo in un fraseggio tribalista ) per poi lasciarsi andare in un energica accelerazione thrash. In "Cries On The Wind" sono i registri a cambiare, Patterson alza il volume nella strofa recitata più che cantata, e i fratelli Cavanagh domano la seconda parte in uno stretto intreccio chitarristico che muore in sacrificio dell'esaltazione dell'ultimo verso:

Don't dwell on the forthcoming
As I know it won't be happening
And you know, when I'm gone
You'll hear my cries on the wind

le labbra non si schiudono ulteriormente, lasciando all'estro di “Ascension” l'agio di comunicare il verbo della speranza, in un impeto di positività ed energia poi riposato da quei tasti bianchi e neri che avevano aperto il sipario di questo capolavoro inferiore solo ai due lavori più cronologicamente vicini ad esso, .

Le bonus track di questo album sono le pregevoli versione acustiche di “Far Away” e “Eternity part 3” che mostrano l'attitudine dei musicisti a riproporre brani in chiave completamente acustica, successivamente dimostrata in un intero tour del gruppo e della pubblicazione dell' ep “A Dream For A Blind” del nuovo progetto di Duncan Patterson.

La versione giapponese include l'eccezionale riarrangiamento di Sleepless con il carisma di Vincent dietro al microfono e Michelle Richfield , l'elaborato risulta sicuramente più accattivante e incisivo dell'originale.

Gidan Razorblade

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martedì 24 febbraio 2009

Tv on the radio - Return to cookie mountain (2006)

Giustifica
Anno: 2006
Etichetta: Interscope Records

Tracklist:
1. I Was A Lover
2. Hours
3. Province
4. Playhouses
5. Wolf Like Me
6. A Method
7. Let The Devil In
8. Dirtywhirl
9. Blues From Down Here
10. Tonight
11. Wash The Day

Premessa:
La domanda più difficile a cui mi sia capitato di rispondere, parlando dei Tv on the radio, è stata sicuramente: “Ma che genere fanno?” . Come se fosse necessario etichettare un gruppo, vincolarlo ad una categoria per invogliare l’ascoltare a dargli una chances. Ed io non so rispondere di botto, con una sola etichetta/genere/ categoria/specie: i tv on the radio sono sostanzialmente un gruppo (afro)americano che si diverte a buttare dentro il proprio calderone un po’ di tutto: rock, blues, elettronica, indie, alternative, gospel, r n’b, qualche accenno di post-punk (che non guasta mai, quel gusto per la musica di classe degli anni’80) ed un mood in cui tutti sono sia polistrumentisti sia vocalisti. Abbiamo una certa stabilità nel ruolo all’interno della band, ma da una canzone all’altra il cantante viene affiancato da altre due o tre voci, spesso queste sono corali.

Il disco:
Return to cookie mountain è riuscito nell’impresa di accontentare diverse tipologie di palato: dal popolo del blues, ai patiti di ambient, a coloro che amano lo shoegazing, alla tradizione “nera” fino agli indieani (coloro che ascoltano indie) che non disdegnano le melodie ed i brani mainstream.
I was a lover: inizia con un beat incrociato con qualche effetto ben assestato, qualche riverbero ripetuto ed una cadenza che è dimessa, quasi ad intensificare il senso della canzone, il tutto mentre si ode un piano in lontananza; “io ero un amante, prima di questa guerra”, così recita il cantante nelle prime battute del brano, un conflitto sia fisico che spirituale, il cui unico scopo è allontanare la pace e trasformarci, eliminare ogni traccia di bellezza e di sentimentalismo, come se la pace fosse un crimine. E’ una litania impolverata, che dà l’idea di un uomo affetto dalla crisi di mezza età che guarda le proprie mani e si chiede che fine abbia fatto, consolato dalla scoperta che ha raggiunto una maturità e non ha perso i ricordi.
Hours: la struttura è particolare, perché la medesima strofa viene ripetuta contemporaneamente da due voci diverse, una più baritonale ed una più acuta, mentre dietro il basso e la batteria costruiscono un soffice e corposo letto su cui adagiare il tutto. La band al completo esegue acrobazie vocali, quasi tutte fungono da melodia regina, da seguire come il filo di Arianna per evadere da una realtà sporca e infausta.
Province: vede la partecipazione in fase vocale-compositiva del duca bianco, sir David Bowie. Qui ziggy stardust è un valore aggiunto, un contrappeso con la sua voce più grave rispetto agli acuti (in certi punti anche femminili, oserei dire) del cantante, mentre il pianoforte e le pelli sorreggono l’intera impalcatura, in pieno stile blues-ambient. Non saprei dire se si tratti di un piano a coda, o di un pianoforte modificato con l’aggiunta di campanelli o di vibrafoni, fatto stà che l’insieme è stupendo e molto godibile.
Playhouses: digital ambient ed elettronica, la batteria spesso sia avvicina ad una drum machine, e le voci sono registrate contemporaneamente su più piste, come una ragnatela su cui veniamo catturati e rimaniamo impassibili, si ferma ogni attività del nostro organismo, a parte un lieve movimento della testa, cercando di andare a tempo.
Wolf like me: primo singolo estratto, personalmente la ritengo miglior canzone dell’intero 2006. Non riesco a descriverla, sono troppo di parte: guardatevi il video e poi vediamo se non siete d’accordo. L’ho detto che parla di licantropia? Beh, grossomodo si.
A method: sicuramente tra le più toccanti ed emotive di tutto il full –lenght, dove la spiritualità si fonde con la parte più passionale e sensibile della nostra anima; tutta la matrice gospel-blues, si riversa all’interno della canzone, sfiorando vette di altissima fattura.
Let the devil in: silenzio…una persona che fischia nella nebbia, intona una melodia con fare religioso, il tutto si trasforma in una marcia del sentimento, in cui al posto della batteria e delle percussioni ci sono gli strumenti più antichi del mondo: le mani e la voce. E’ un canto apotropaico, atto a scacciare i propri demoni interni.
Dirty whirlwind: altra traccia abbastanza simile alla precendente, ma qui abbiamo al posto deli battiti sincoronizzati delle mani, i tamburelli ed il pianoforte.
Blues from down here: ossia come prendere un brano blues e traslarlo su una base elettronica, continuata, indie e tremendamente distorta , dove il feedback tipico dello shoegaze regna sovrano.
Tonight: è un grido di ribellione che si alza verso il cielo, aiutato dagli amplificatori portati al volume massimo, in un turbinio di suoni che strizzano l’occhio al noise.
Wash the day: conclude il disco, ed un pò dispiace che sia finito. Ma allo stesso tempo siamo sicuri che questo secondo lavoro del gruppo di Brooklin sia solo l’ennesimo passo verso il capolavoro assoluto che li consacrerà ai posteri.

Sgabrioz

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