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sabato 24 gennaio 2009

Social Distortion - Mommy's Little Monster (1983)


Anno: 1983

Etichetta: 13th Floor Records (original), Triple X (1989), Time Bomb Recordings (1995)

Tracklist:
The Creeps
Another State Of Mind
It W asn’t A Pretty Picture
Telling Them
Hour Of Darkness
Mommy’s Little Monster
Anti-Fashion
All The Answers
Moral Threat

I Social Distortion ed il loro "Mommy's Little Monster" sono stati semplicemente seminali per:
1. l'hardcore (che in quegli anni si stava affermando).
2. il superamento dell'hardcore (che in quegli anni già si stava bruciando) verso forme più melodiche e contaminate (vedi hardcore melodico anni 80 e 90, e tutto il punk revival) fino ai loro diretti discendenti, gli Avail.
3. il rock "alternativo", dai Motorpsycho ai Meat Puppets ai Pixies.
Il motivo di tanta importanza sta più che nei temi (che sono quelli tipici del movimento punk e hardcore), nella personalissima rilettura del punk rock data dal frontman chitarrista solista e cantante Mike Ness, ossia il prototipo di punkabbestia trapiantato negli usa... e con la parola "trapiantato" intendo dire che non si tratta di un semplice punk-punkabbestia (dentro e fuori da prigione, sbronzo, tossico, ecc.), lui era molto di più: la americanizzazione del prototipo punk, per via della sua autentica passione per il background rock americano (dal country a tutto il resto) che sarà il discriminante che darà quel valore aggiunto al suo punk rock.
Il sound dei SD non è inedito e non viene fuori dal nulla; esso trova il suo precedente storico nella genialità degli X, che comunque appartenevano a una linea di confine attorno dal movimento punk (ma certamente estranei all'hardcore); i SD invece sono assolutamente una hardcore band, la loro musica è oscura e pesante, e in questo esordio è particolarmente grezza (anche se nulla è lasciato al caso, e tutto è assolutamente professionale), a tratti quasi macabra (continue sono le allusioni all'idea della morte e al suicidio, a partire dalla coperina); anche per questo, oltre al fattore prettamente musicale, collegherei i SD all'esperienza Misfits, tra il punk e il proto hardcore, che viene quindi superata anche sulla strada della melodia e della contaminazione (che vedrà invece i Misfits avvicinarsi al metal). A tutto questo i SD aggiungono una bella dose di hard rock, dalla furia degli MC5 ai Clash di "Give Em Enough Rope" (dai quali viene praticamente presa tutta la ritmica, e si sente specialmente nei bridge), senza disdegnare mai la ricerca della vena melodica, e quindi del bel refrain ad effetto, talvolta corale, talvolta sloganistico. Inusuali in ambito HC, gli assoli di chitarra di Ness (relativamente lunghi), rubacchiati e rielaborati da esperienze elettriche americane tra 60 e 70, presenti praticamente ovunque, insime ad un inconsueto organo in qualche brano e persino influenze surf (Mommy's Little Monster) e rockabilly (It Wasn't a pretty picture), ma le cose migliori sono i 2 estremi opposti: il terremoto hardcore/hardrock ultraristretto e condensato in due taglientissimi minuti di The Creeps ed Anti-Fashion, frutto indiretto della musica dei Sonics, ed i 5 minuti abbondanti della conclusiva Moral Threat, piena di rallentamenti, jam acide, crescendo elettrici e sfumati capovolgimenti ritmici."Mommy's.." è un concept, probabilmente il primo concept punk (e uno dei pochi) insieme "Zen Arcade" (anche esso del 1983); esso consiste in una serie di episodi in un'unica cornice, che è a metà tra il picaresco e l'epopea punk dell'individuo nella sua avventura per liberare se stesso, in un eterno conflitto con le autorità. Tutto ha una portata estremamente adolescenziale, abbastanza ingenua, ma probabilmente tutto questo non è casuale, visto che l' ingenuità deve essere uno dei caratteri-base di qualsiasi disco che sia in relazione col mondo punk.
Casino, niente scuola, niente lavoro, nessuna regola, capelli blù, disprezzo verso le autorità di ogni tipo e verso tutto ciò che le circonda. Queste sono le tematiche della titletrack e il filo conduttore dell'intero disco, che di tanto in tanto lascia trapelare qualche concessione ai sentimenti (Another State Of Mind). L'elemento "avventuroso" è tipico di questa narrazione punkettona, che descrive con marziale semplicità delle scene da strada: suicidi, storie di droga, assassini (It Wasn't A Pretty Picture). Il nocciolo della natura anarcoide del picaro punk sta nel suo rapporto con la società, ossia la sua a-socialità / anti-socialità, quindi un rapporto di odio scambievole ben rappresentato dalla azione-reazione del ragazzo che sfascia il vetro e che poi si becca una serie di calci in culo (Telling them) e da questi versi: I'll do it my way, I'll always win / When the sun goes down I'm ready to play /It doesn't matter what anybody says. Sempre dal rapporto conflittuale con la società e con la massa (nonchè con tutte le autorità costituite, anche autorità culturali o di "costume") nasce l'accusa anti-modaiola rappresentata anche essa con grande capacità di sintesi "You are so plastic you could be a Barbie Doll / You walk you talk just like them all" (Anti-Fashion). Poi i toni si fanno tragici in Moral Treat, che coniuga il tema dell'abuso del potere poliziesco e dell'inefficacia del sistema giudiziario al dramma personale ed al ricatto morale dell'oppressione autoritaria, che conduce al suicidio il protagonista. Troviamo toni epici invece in All The Answers (che è un inno da scontro generazionale):

You won't see these kids in heaven
Colored hair and funny clothes
They are the menace of today
And they won't listen to what you say
But don't forget that they're your future
They're loud, they're obnoxious and proud
They are conscious
But don't forget that they're your future
They're loud, they're obnoxious they're proud
They are conscious
But don't forget that they're your future
These kids are accused for all the violence
You can't even keep them silent
You thought you had all the answers
You won't be able to make them pay
Cause they're not gonna fade away

Sicuramente è una forzatura fare una "analisi" ad un disco del genere, e quindi intellettualizzarlo, visto che qua si tratte dell'anti-intellettualismo per eccellenza; "spiegare" un disco punk è come tenere un puma in cattività. Però chiedo scusa a voi e a tutti i soggetti coinvolti; con queste mie poche righe volevo solo darvi una dritta, un consiglio per i vostri ascolti, o anche (nel caso sia un album a voi noto) una dritta nella quale vi illustro la mia personalissima chiave di lettura di quello che "Mommy's..." è stato.
Se volete una descrizione più onesta e fedele del disco, allora lasciate stare il linguaggio verbale: ciò che conta è l'esperienza (è questo forse il messaggio ultimo che Ness voleva lasciare... e non solo Ness, ma tutto il rock, da "Are You Experienced" in poi), quindi se volete immedesimarvi nello spirito del disco dovete solo tornare a casa ubriachi e vomitare su un tappeto, o al massimo, se non avete tappeti, potete scappare di casa... se invece vivete già da soli, allora avete un buon motivo per tornare a casa dei vostri genitori (dite loro di preparare il tappeto).

John

venerdì 23 gennaio 2009

The Get Up Kids - Something To Write Home About (1999)


Anno: 1999

Etichetta: Vagrant Receords

Tracklist:
1. Holiday
2. Action & Action
3. Valentine
4. Red Letter Day
5. Out Of Reach
6. Ten Minutes
7. The Company Dime
8. My Apology
9. I'm A Loner Dottie, A Rebel
10. Long Goodnight
11. Close To Home
12. I'll Catch You

What became of everyone I used to know? Where did our respectable convintions go?

Una cameretta calda e accogliente, una bella giornata primaverile fuori e un po’ di malinconia dentro, ecco il clima ideale per l’ascolto di questo disco.

Nel 1997 i Get Up Kids irrompono nel panorama del rock collegiale americano con lo strabordante power-pop-punk di Four Minute Mile. Subito i più svegli intuiscono che i ragazzini originari di Kansas City nascondono qualcosa: l’irruenza e la genuinità di quell’album sono troppo evidenti per passare inosservate.

Nel 1999 finalmente Matt Pryor e soci escono allo scoperto con un lavoro che nel suo piccolo diventerà epocale. Something To Write Home About è il punto di approdo di una lunga rincorsa iniziata nella magica estate del 1985, la Revolution Summer, con la nascita di band come gli Embrace, sviluppatasi lungo gli anni con i lavori di Texas Is The Reason, Sunny Day Real Estate e Jawbreaker, abbellita dal pop di Smiths e Cure e rinvigorita dall’indie rock di Replacements e Built To Spill. In una parola sola: emo. A quasi 15 anni di distanza da quando ne sono stati gettati i primi semi il termine viene istituzionalizzato segnandone in maniera evidente i tratti distintivi. Qua non stiamo parlando né di frange né di eyeliner, ma di quattro nerd che, tra una lacrimuccia per la morosa che li ha appena abbandonati e un compito in classe di chimica, trovano il tempo di mischiare assieme l’irruenza del punk più genuino con la stilosità del pop anni ’80 filtrando il risultato con gli occhi innocenti di un adolescente in piena esplosione ormonale venendo infine a delineare un nuovo tipo di musica alternativa (almeno ai tempi).

Ascoltare Something To Write Home About vuol dire prendere in mano il proprio cuore e lasciarsi trasportare attraverso i bozzetti che i Get Up Kids riescono a disegnare con la stessa immediata semplicità con cui nasce un sorriso, spontaneo e raggiante. E’ facile lasciarsi investire dall’immediatezza di Holiday o Ten Minutes, in equilibrio instabile fra la sfrontatezza punkeggiante delle strofe e l’impetuosità pop dei ritornelli, come fermarsi ad apprezzare con orecchie sbalordite il folk-pop di Out Of Reach e l’attacco indimenticabile di My Apology. Il rock che scorre in questi solchi è di quelli genuini, suonato con tanta sincerità e trasporto da far commuovere. E a questo ci pensano le tastiere che qua a là fanno capolino fra un riff più distorto e una strofa più tirata, intrecciandosi con maestria alla voce stridente di Matt Pryor. In questo turbinio di emozioni si è costretti a immergersi nel flusso dei ricordi che scorre dolcemente al ritmo delle varie Action&Action e I’m A Loner Dottie, A Rebel. Giornate passate in maniera spensierata, aria fresca inspirata a pieni polmoni e storie di amori innocenti sbocciati in un battito di ciglio e sfioriti con la stessa velocità. Racconti di rapporti interpersonali chiusi per sempre, come narrato in Red Letter Day, e di piccoli grandi tradimenti. Neanche il tempo di abituarsi a questa corrente continua che l’incalzante Close To Home sfocia nel romanticismo piano-voce di I’ll Catch You, la madre di tutte le emo ballad. E noi siamo lì, nella nostra cameretta, con gli occhi lucidi pensando a quel fiore sbocciato forse troppo presto, nel momento sbagliato...ma ora è già tardi. Una voce in sottofondo: no need for reminding…you’re still all that matters to me.

Something To Write Home About è così, vola via in un soffio, ma se ascoltato nella maniera giusta lascia un segno profondo. Come profondo è il segno lasciato nella musica della decade successiva alla sua pubblicazione. Rimane ad oggi la testimonianza più vera e tangibile (al pari di quella di Clarity -Jimmy Eat World- e Emotion Is Dead -Juliana Theory-) di cosa fosse realmente l’emo: uno stile musicale che, fiorito in tutta la sua innocente bellezza si è spento ancor prima di essere stato assaporato fino in fondo, lasciando alla massa di ascoltatori distratti di oggi solo i petali appassiti. Rimane però la possibilità di riassaporare questi e chissà quanti ricordi perdendosi fra le note di queste fragili canzoni. A voi il piacere di farlo.

Alessandro Sacchi =KG=

giovedì 22 gennaio 2009

Laghetto - Pocapocalisse (2005)



Anno: 2005

Etichetta: Donna Bavosa/Shove/Smartz/Horror Vacui Theatre

Tracklist:
LATO A
avril lavigne
il conguaglio
lebbra is the reason
hey:yeh (palindrome song)
LATO B
Amaritudinis (il mostro)
I movimento
II movimento
III movimento
IV movimento
LATO C
per un'estinzione umana ecosostenibile
robidalbosco LIBERO
piovo

Stronzi, ma in senso buono. Perchè, esiste un senso buono della parola “stronzo”? Prova a salutare tuo padre con “ciao stronzo”, vedi le legnate che ti tira la mattina presto, ti butta giù i denti e mamma deve sbatterti l'ovetto insieme agli oro saiwa, frullartelo e servirtelo come un pappone per oche. A proposto di colazione, ma qualcuno ha mai mangiato L'ovomaltina? Madonna, cos'era? una msicela di? orzo e cacao? caffè e antigelo? Stronzi, ma nel senso più divertente del termine, come quando dici che Daniele Luttazzi (avete notato come metà delle persone si incaglia sul gioco delle doppie del cognome del comico di Sant'Arcangelo di Romagna?, un po' come la metà delle persone non conosce il significato di “isagogico” o di “tralatizio”. Se sei in quella metà bada bene che inizierò ad usare una terminologia aulica e desueta, ma che fa molto cool perchè essere intellettuali affermando parole a caso solo per riempirsi la bocca è mollo fico.) sia uno stronzo di prima categoria perchè ha il coraggio di sfottere tutto e tutti, risultando cinico, bastardo e caustico. Ecco, i laghetto sono degli stronzi di prima categoria ed io li amo alla follia per questo, senza voler però barattare la mia verginità rettale per essere una loro groupie. Pocapocalisse è un lavoro che ha due emisferi, come il cervello delle persone normali [ad esclusione di quello di Bondi la cui metà sinistra è ceduta all'intero Cda dell'azienda trasporti di Cagliari, nota come CTM che sembra essere la sigla di un noto insulto pugliese.), solo che non bisogna utilizzare la lente di una persona normale, la quale risulterebbe infastidita o magari leggermente incazzata per il livello di biricchineria di questi giuovani discolacci bolognesi. Però una persona come me e te, che ama l'hardcore e la zooerastia, le bestemmie, la cattiveria fine a se stessa del tipo aprire le cassette della posta altrui usando i fiesta ed i mega, sicuramente apprezzerà questo disco. Vietato avere pregiudizi, vietato ai falsi moralisti ed i ciellini: un testo come “lebbra is the reason” è l'apogeo della dissacrante, autentica e necessaria libertà di pensiero. Immaginatevi un gruppo italiano la cui base è hardcore marcioe ggrezzo, veloce ed ispirato, condito da testi affascinanti e da visionare in contemporanea all'ascolto, che amano i refused e la vecchia e meravigliosa scuola di hardcore evoluto, i converge, unsane, melvins ed un po' di quel post-core e post-core-corn-atmosferico, il tutto in linea con una grandissima intelligenza e quel marchio di italianità che stà caratterizzando diverse band, più o meno di culto, più o meno famose, dal nome più o meno figo come i La quiete, The Death Of Anna Karenina, The Infanrto Scheisse! E così via. Insomma, alla fine della fiera avete perso 10 minuti a leggere una recensione assolutamente inutile e superflua, perchè l'unico modo per apprezzare questo capolavoro di fulgente e cristallina matrice italica è soltanto ascoltarlo Ed ora, come promesso, la terminologia aulica ed in disuso: erpice, ex voto, ossimoro, allegoria, madrigale, panegirico, apokolokyntosis, diairetico, patisserie, sinedrio, cataboliti, fromboliere, maniscalco, ebanista, pater familias, velocipedo, anassagora, artripode, necrostupratio, calorifero, pantomima, eccepire, cesellare. E anche mammelucco. E ditemi dove trovate un disco hardcore in cui ci siano tre movimenti, una canzone intitolata “avril lavigne” ed una che parla di quel batuffolo di tenerezza e coccole di Oriana Fallaci. Nel disco dei Laghetto, senno di che cazzo staremmo parlando da mezz'ora?. La massa è pirla, non seguirla (cit.).

Sgrabrioz

mercoledì 21 gennaio 2009

Rancid - Rancid (2000)


Anno: 2000

Etichetta: Epitaph/Hellcat

Tracklist:
01. Don Giovanni
02. Disgruntled
03. It's Quite Alright
04. Let Me Go
05. I Am Forever
06. Poison
07. Loki
08. Blackhawk Down
09. Rwanda
10. Corruption
11. Antennas
12. Rattlesnake
13. Not To Regret
14. Radio Havana
15. Axiom
16. Black Derby Jacket
17. Meteor Of War
18. Dead Bodies
19. Rigged On A Fix
20. Young Al Capone
21. Reconciliation
22. GGF

Piccolo flashback. Metà anni ’90. Stati Uniti. West Coast. Il revival punk. Da una parte i gruppi maggiormente hardcore come NOFX e Pennywise stanno mettendo a ferro e fuoco gli States, dall’altra chi strizza più l’occhio al pop come Green Day e Offspring spopola su MTV. And Out Come The Wolves infila, loro malgrado, i Rancid nella seconda categoria. Forti di questo successo, nel ’98 Tim Armstrong e co. danno alle stampe il controverso Life Won’t Wait: un flop (solo) a livello mediatico. Gli attacchi dalla stampa e dai giornali specializzati sono continui, così i 4 californiani si rinchiudono in loro stessi evitando qualsiasi contatto col mondo esterno, se non con amici stretti della loro stessa scena. La tensione intorno al gruppo è spasmodica, tutto esplode in maniera deflagrante alla pubblicazione di quest’album. 39 minuti, 22 tracce. Il pop, il reggae, la sperimentazione, sono messi da parte. C’è spazio solo per furente punk/hardcore. Un calcio sulle gengive di tutti i loro detrattori, a chi li accusava di essersi venduti, di essersi montati la testa.

You're making enemies
Like Don Giovanni
You're making enemies
Like Don Giovanni
Don killed Anya's father in a brutal swordfight
The old man regrouped and came back from the dead
You're making enemies
Like Don Giovanni
You're making enemies
Like Don Giovanni
Well the old man came back from the dead and dragged
Don Giovanni to hell
So don't fuck with me..kid!

Don Giovanni apre le danze, 37 secondi che racchiudono l’essenza dell’opera. Rabbia, tanta rabbia da riversare sull’incolpevole ascoltatore. Tre anni di incomprensioni da scaricare con bordate di grezzo hardcore: I Am Forever, Poison, Blahckhawk Down, Antennas (con la celeberrima strofa let California fall into the fuckin’ ocean). Schegge impazzite che fanno terra bruciata intorno a loro. Ogni tanto riaffiora timidamente qualche piccola venatura ska o reggae (Radio Havana), ma è solo l’eccezione, non la regola. La regola sono le urla sguaiate di Lars in Loki, gli assalti di Tim in Rattlesnake, i ritmi infernali imposti da Brett e la (tanta) classe di Matt Freeman. Il fenomenale bassista merita una menzione speciale: ascoltatevi Axiom e poi ditemi se è vero che i musicisti punk non sanno suonare. Lungo questi 40 minuti scarsi troviamo tante altre perle grezze, da Not To Regret a Young Al Capone, da Dead Bodies alla conclusiva Golden Gate Fields che chiude alla grande un piccolo gioiello di aggressività.
Recensione concisa per descrivere un disco conciso che va subito al nocciolo della questione. Ascoltatelo anche solo per comprendere il significato di “integrità artistica”.

Ok this is Rancid signing off for now
until next time we'll see you guys later...

Alessandro Sacchi =KG=

martedì 20 gennaio 2009

From Autumn To Ashes - Too Bad You're Beautiful (2001)


Anno: 2001

Etichetta: Ferret Records

Tracklist:
1. The Royal Crown -Vs.- Blue Duchess
2. Cherry Kiss
3. Chloroform Perfume
4. Mercury Rising
5. Capeside Rock
6. Take Her To The Music Store
7. The Switch
8. Reflections
9. Eulogy For An Ange
10. Short Stories With Tragic Endings

L'autunno: per definizione stagione di transizione, poetica, malinconica, in cui si spegne l'euforia dell'estate, lasciando spazio ad emozioni diverse, a colori più freddi, incenerendo tutto quello che per noi è stato il periodo appena terminato. I From Autumn To Ashes fanno tendenzialmente questo: manipolano le parole, senza un fine specifico, rendendolo semplicemente importanti. Che ci facciano piangere di dolore o di gioia, hanno raggiunto il loro obbiettivo. Vogliono soltanto renderci partecipi delle loro urla contro il vento, delle loro esperienze, convincerci a prendere parte al loro monologo autunnale. Sta a noi decidere se unirci alle loro strazianti grida di dolore, oppure trovare nelle loro canzoni quel barlume di speranza, quella voglia di andare avanti che ci può consentire di superare un momento negativo.
I From Autumn To Ashes non sono la solita band Metalcore, e neanche il solito gruppo Screamo. Certo, queste sono le loro influenze più importanti, ma è bene non fermarsi alle apparenze, perchè in questo modo si cadrebbe nei soliti pregiudizi. Si, perchè da quando il Metalcore è diventato un genere molto trendy, è iniziato un susseguirsi di nascite di band spesso plastificate, seppur convincenti nelle loro melodie di ultimo grido. I From Autumn To Ashes sono altro. Sono rabbia, tristezza. A tratti rancore. Almeno per quanto riguarda il loro primo album, Too Bad You're Beautiful, uscito nel 2001. Un disco che, una volta ascoltato, è impossibile dimenticare. La profondità di un capolavoro simile è difficilmente descrivibile a parole, se non elencando i suoi connotati principali: innanzitutto, rabbia. Voglia di sputare parole velenose, ansia di cambiare ciò che ci colpisce e ci fa male, troppo male per essere sopportato. Tutto questo attraverso una musica che fa della violenza ragionata la propria forza. Schegge Emocore, passaggi Metal (ancora molto pochi rispetto a quelli dei successivi dischi), vocals glaciali, taglienti. Urla liberatorie. Ma la cosa più impressionante sono i testi: così belli, così profondi, così personali che possiamo facilmente farli nostri; sconvolgenti nella loro crudezza, ma soprattutto nel loro realismo.
E' proprio la costante alternanza di sfuriate Hardcore e atmosfere tristi ed intimiste la linea su cui si muovono i nostri, forti di una notevole capacità di songwriting. Il disco parte con la classica mazzata emocore: in Royal Crown Vs. Blue Duchess, la band si districa tra la violenza del Metalcore e le splendide melodie tracciate da voce e chitarra. Avvicinandosi alla fine del pezzo, il violentissimo scoppio emotivo ci lancia in un turbinio di emozioni contrastanti, ben coadiuvate da un testo bello e sofferto (As paper I cut your life / Follow the outline that you traced / The life you knew disappears / In its wake you stand with one skin that you do not own). Adesso è fatta, siamo spacciati. Come non farsi baciare dalla splendida Cherry Kiss, con quei tappeti di batteria che sostengono riffs elaborati, di chiara derivazione Heavy Metal, e quelle vocals che passano dallo scream al pulito, quasi al pianto. E come non restare ammaliati dal profumo di Chloroform Perfume, un semplice duetto voce-chitarra acustica (con una esplosione elettrica nel finale), emozionante ed intimista. Ed ecco che arriva Capeside Rock, che ci lascia semplicemente senza fiato, come un proiettile che ci si conficca direttamente all'altezza della gola. Così, immobilizzati dalla furia del pezzo precedente, riconosciamo presto la voce campionata di due dei protagonisti del telefilm Dawson's Creek: è l'intro di una delle song meno immediate del disco, Take Her To The Music Store. Attraverso altri tre pezzi a metà tra Hardcore primigenio e melodie emo, siamo accompagnati dai Nostri verso la fine del disco, che vede in chiusura la loro canzone più rappresentativa: Short Stories With Tragic Endings è una lunga suite di quasi 10 minuti, che alterna momenti di rabbia e dolore (attraverso lo scream del cantante) ad altri in cui la dolcezza della singer dei One True Thing, Melanie, ci porta di fronte ad un bivio: se seguire i suoi fraseggi eterei, oppure lanciarci nel caos (perfettamente ordinato) che scaturisce dal resto della band. Un pezzo lungo ed estremamente ricco di emozioni, a volte anche antitetiche. Le ultime note di chitarra acustica si spengono, accompagnate dalla splendida voce di Melanie. Una volta terminato il disco, ciò che ci rimane nel cuore è soltanto una semplice poesia, struggente e malinconica, per chi è alla ricerca della luce e per chi l'ha già trovata.

"For as much as I love Autumn,I'm giving myself to Ashes"

Alpha

lunedì 19 gennaio 2009

Green Day - Warning (2000)



Anno: 2000

Etichetta: Reprise

Tracklist:
1. Warning
2. Blood, Sex & Booze
3. Church On Sunday
4. Fashion Victim
5. Castaway
6. Misery
7. Deadbeat Holiday
8. Hold On
9. Jackass
10. Waiting
11. Minority
12. Macy's Day Parade

Anno 1997. I Green Day, all’apice del successo, pubblicano Nimrod, album poliedrico e ricco di mille sfaccettature. Il successo è ancora una volta enorme grazie soprattutto ad una canzone che esula del tutto dal loro stile (nonostante fosse stata scritta nel periodo di Dookie): Good Riddance (Time Of Your Life). Nella mente dei componenti del gruppo inizia così ad insinuarsi l’idea di svariare maggiormente sul fronte di un rock di stampo più classico. Nel frattempo la pressione dei media sulla band, si fa sempre maggiore a causa del grande successo e la vita privata dei tre californiani inizia a scricchiolare portando Mike e Tré a divorziare dalle rispettive mogli e Billie Joe in un profondo stato di crisi. Nel bel mezzo del loro ennesimo tour europeo i GD prendono la sofferta decisione di staccare completamente la spina, cancellare le rimanenti date e ritirarsi a tempo indeterminato a vita privata. Durante il periodo lontano dai riflettori i ragazzi hanno modo di dedicarsi a loro stessi, rimettere insieme i cocci delle loro vite e vivere finalmente come persone normali e non come rockstar. Nel tempo libero, oltre che fare la spesa e giocare con i figli, riprendono in mano il libro della storia del rock e ripassano i grandi classici, da Bob Dylan ai Beach Boys passando per i Kinks. Così, dopo quasi due mesi di lontananza l’uno dall’altro, il gruppo si ritrova in sala prove ripartendo proprio dalla consapevolezza nei proprio mezzi donata dal successo di Time Of Your Life, e ciò che ne viene fuori è qualcosa di decisamente più maturo rispetto a quanto inciso in passato.
Billie Joe ha finalmente intrapreso la strada per trovare un equilibrio prima di tutto interiore, lasciandosi pian piano alle spalle il melodramatic fool neurotic to the bones di Basket Case e tutta la band ne giova alla grande. Gli eccessi e la sregolatezza sono messi una volta tanto in secondo piano dato che, come recita Jackass: everybody loves a joke, but no one likes a fool. La maturità stilistica raggiunta è evidente fin dalle note iniziali del singolo Warning, il cui giro di chitarra è una chiara citazione di Picture Book dei Kinks. Le chitarre elettriche suonano molto più vintage mentre quelle acustiche fanno capolino sempre più spesso all’interno delle trame ordite dalla band. Così se Blood, Sex & Booze e Church On Sunday richiamano alla mente i momenti power pop di Nimrod, già Fashion Victim si rifà a un rock d’annata, mentre in Castaway lo spettro dei Beach Boys aggiornati all’anno 2000 aleggia fra le note. La sorpresa più grande si ha però fin dall’incipit di Misery. In un atmosfera fumosa si fa largo, al ritmo della fantasiosa batteria di Tre Cool, una marcetta che col proseguire del minutaggio si arricchisce della presenza di fisarmonica e archi in un crescendo sempre maggiore di pathos. Chi l’avrebbe detto ai tempi di Dookie che, all’alba del nuovo millennio, i Green Day avrebbero tirato fuori un brano western-folk?! Deadbeat Holiday ci riporta sui binari di un pop punk d’annata, ma le chitarre acustiche e la fisarmonica di Hold On sono un altro indizio dell’amore di Billie Joe&co. verso il rock d’annata e il cantautorato made in USA, e il signor Bob Dylan ringrazia.
Volgendo al termine il disco ci restituisce, in parte, il gruppo californiano nelle sue vesti orginali. Dopo il rock’n’roll di Jackass infatti arriva la perla power pop Waiting: attacco di Billie Joe e poi a ruota Mike e Tre a colorare un brano tra i più riusciti del repertorio targato Green Day, in cui l’innata vena melodica del frontman si sposa alla perfezione con la fantasiosa e scoppiettante sezione ritmica. Minority è invece il brano che amalgama alla perfezione i vecchi Green Day spacconi a quelli più maturi e meno chiassosi. Il singolo infatti si regge su una strofa tranquilla in cui Tre Cool tiene però alto il livello di attenzione per poi esplodere nel ritornello in cui la pennata pesante di Mr.Armstrong la fa da padrone. Proprio il ritornello -I want to be the minority, I don’t need your authority, down with the moral majority ‘cause I want to be the minority- svolge appieno il compito di far scatenare un pubblico (e un gruppo) che è sì cresciuto, ma ha comunque mantenuta intatta quella vena arrogante e sovversiva tipica di un giovane.
Il gran finale è tutto per Macy’s Day Parade. Dopo l’esperienza di Time Of Your Life, Billie Joe torna in versione solista (accompagnato da una sezione di archi) imbracciando una chitarra acustica e ponendo il definitivo sigillo di maturità su un lavoro che, criticato da molti, ha rappresentato un grosso passo avanti per la band di Berkeley, sia a livello musicale che a livello umano.
E fu così che alla fine, anche i ragazzacci del punk, divennero uomini.

Alessandro Sacchi =KG=

domenica 18 gennaio 2009

Sottopressione - Così Distante (1998)


Anno: 1998

Etichetta: Vacation House

Tracklist:
1. Micro - Macro Paesaggio
2. Ruggine
3. Distruggersi Per Poi Risorgere
4. Una Volta A Luglio
5. Nevrosi
6. Essere Isolato
7. Non Certezza
8. Dinamiche Di Cancellamento (Nevrosi II)
9. La Maledizione Del Benessere
10. Sintomi Di Quella Vita

In principio c'erano Negazione, Indigesti, Raw Power...erano i grandi anni '80 dell'hardcore made in Italy. Nei 90s le band che sparsero in giro per il mondo (in particolar modo negli USA) il verbo dell' accacì nostrano andarono incontro ad un costante declino e una band soltanto fu in grado di raccoglierne degnamente lo scettro. Si chiamava Sottopressione.Così Distante è per il complesso milanese il disco della consacrazione a miglior gruppo hardcore italiano della scorsa decade. Un tornado, 22 minuti, dieci tracce che vomitano sulla società tutta le nera pece di cui si/ci nutre. Impossibile isolare singoli episodi, forse solo la celeberrima Distruggersi Per Poi Risorgere svetta sulle altre. E' difficile anche solo scrivere qualcosa di sensato riguardo album come questi, non tanto per incapacità ma per la perfezione e l'impatto emotivo che riescono a toccare. Testi criptici e simbolici come non mai, fatti apposta per stimolare le menti a ricercarvi nel loro interno il significato più attinente alle proprie esperienze personali. Chitarre ruggenti (di chiaro stampo Negative Approach) che squarciano l'aria con riff taglienti come lame. Batteria..beh...qua qualcosa in più si DEVE dire: è proprio l'ingresso nella formazione di Dario (Daylight Seven Times, De Crew, Punchline) a far compiere il definitivo salto di qualità alla band, grazie a ritmi serrati che però mai annoiano l'ascoltatore aumentando invece il tasso di adrenalina che scorre fra i vari brani.Insomma, poche e confuse parole per descrivere un'opera entrata giustamente nell'Olimpo delle più importanti produzioni hardcore di sempre, sia a livello italiano che internazionale. Se siete appasionati di questa musica, se vi siete avvicinati da poco, ma anche se cercate il motivo per cui negli ultimi 25 anni ha catalizzato attorno a sè una tale folla di appassionati, in Così Distante troverete tante delle risposte che cercate. Qui dentro c'è passione, rabbia, cuore. E si sa, quando è il cuore che chiama, non ci si può tirare indietro.

Alessandro Sacchi =KG=