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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Dillinger Escape Plan - Miss Machine (2004)

sabato 1 novembre 2008

Dillinger Escape Plan - Miss Machine (2004)


Etichetta: Relapse Records

Anno: 2004

Tracklist:
1.Panasonic Youth
2.Sunshine the Werewolf
3.Highway Robbery
4.Van Damsel
5.Phone Home
6.We Are the Storm
7.Crutch Field Tongs
8.Setting Fire to Sleeping Giants
9.Baby's First Coffin
10.Unretrofied
11.The Perfect Design


Line up:
Benjamin Weinman - guitar
Brian Benoit - guitar
Chris Pennie - drums
Greg Puciato - vocals
Liam Wilson - bass guitar

Cinque anni. Cinque anni son passati dal primo full-length della band, un album che rispondeva al nome di Calculating Infinity, un fulmine a ciel sereno che colpì l’intero panorama estremo, portando alle masse quello che era il nascosto movimento math-core. Erano i Dillinger Escape Plan.
Cinque ragazzi giovanissimi, all’epoca poco più che vent’anni, che riuscirono a fare proprie le gesta di band seminale come Deadguy, Coalesce e Converge, portando il tutto a un livello superiore di tecnica, di impatto, di nichilismo sonoro. Un album che entrato subito a far parte nella storia del genere, divenuto subito eredità gravantesulle spalle della band, appesantitasi dall’ep più famoso della band, quell’Irony Is A Dead Scene, dove al microfono si divertiva un personaggio come Mike Patton, che sostituiva temporaneamente il defezionario vocalist originario, Dimitri Minakakis, la “gola” della band. Un periodo travagliato per la band, anche per via dell’incidente accaduto ad Adam Doll, bassista della band, paralizzato agli arti inferiori in seguito a un incidente automobilistico. Tanti turnisti in sede live, tra cui anche Sean Ingram dei Coalesce, finchè non ricevettero una demo-tape da un giovane di nome Greg Puciato. Fu un nuovo inizio.
Capace di soluzioni varie sul piano vocale, e con predisposizione all’utilizzo dell’elettronica Puciato era il vocalist che serviva alla band per rilanciarsi. Le prove erano andate bene, ora il pubblico li attendeva al varco, Miss Machine fu il loro nuovo biglietto da visita.
Panasonic Youth è una scheggia di vetro che si infila nell’occhio e inizia a infiltrarsi per tutto il corpo, devastando ogni cosa, il riffing è cambiato, i tempi son meno quadrati, a prevalere sono i solos delle chitarre supportati dal drumming Lombardiano di Chris Pennie, e soprattutto Puciato si dimostra un vocalist cazzuto come pochi altri, devastante come una belva, e capace di giostrare anche gli spazi meno tirati, che arrivano dopo un breakdown imponente, dove l’elettronica e il basso jazzato di Liam Wilson ne fanno da padroni, sfociando in solo che definire schizofrenico è un eufemismo, in un finale che spezzerebbe le gambe a un elefante. La band non sembra volere cedere di un millimetro scaraventando in faccia una mazzata come Sunshine The Werewolf, che dopo un inizio memore dei primi lavori si lancia prima in un intermezzo FNMoriano, e poi in una frenetica discesa verso l’insanità mentale, dove Greg si dimena, tra scream e urla più propriamente punk/hc, mentre Chris fa vedere come si utilizza un pedale. Poi è di nuovo quiete, dove le chitarre acustiche di Benjamin e Brian si dilettano limpide, per poi esplodere in un crescendo finale quasi disperato, meno frenetico, più UMANO. Ecco che iniziano a emergere i nuovi D.E.P.Il proiettile di Highway Robbery è di una malvagità unica, con Puciato che si diverte a fare il verso a Patton, senza rientrare nella marmaglia di quelli che invano hanno tentato l’impresa, dimostrando nel ritornello di possedere una voce unica, capace anche di fare gli occhioni dolci.
Van Damsel si muove sui lidi di Calculating Infinity, un soun più corposo e nevrotico allo stesso tempo, con riff martellanti, con un istericissimo Puciato, che da fuori di sé. La novità sono i riff simil-death del finale, che donano un carattere apocalittico alla canzone, questi sono i Dillinger, una macchina programmata per razziare ogni cosa, per fare piazza pulita, e le distorsioni che chiudono le danze ricordano a tutti che loro devono disturbare.E dalla scia di questa traccia si arriva a uno dei punti più alti dell’album Phone Home.
Campionamenti elettronici, rumori industriali di sottofondo, e un sound di chitarra ovattato che si muove sibilante nel sottofondo, mentre Greg pare cantare con lo sguardo di un matto, con gli occhi spalancati e la bava alla bocca. E improvvisamente esplode di rabbia, secca come il riffing, ma con occhio alla melodia, sempre. La canzone cresce irretibile, è come andare sulle montagne russe appositamente per vomitare, però piace, e va bene così, eliminare ogni scoria di follia, ma è impossibile e la frustrazione del finale è infatti tutto questo.
We Are The Storm è una furia cieca con un preziosissimo intermezzo acustico, pacato, un sogno in mezzo a tanta devastazione, dove Puciato si improvvisa cantante leggiadro, ma di cui non ci si può fidare, perché nel finale si riprende a martellare sulle ferite aperte e Cruch Field Tongs, elettronica e fredda, porta al secondo singolo dell’album, Setting Fire To Sleeping Giants. Inizio pacato, jazzato, con l’elettronica di sottofondo e nuovamente lo spettro di Patton, e questa volta l’esplosione è meditata, comprensibile, sfocia nel ritornello migliore dell’album, tutto da cantare, si proprio così, cantare a squarciagola. L’intermezzo di jazz puro è qualcosa di strabiliante, che si strappa le dorate vesti e cambia d’umore, divenendo un incubo lacerante, ossessivo, con un Chris sugli scudi.
Baby’s First Coffin è la nevrosi messa in musica, la prima canzone con Puciato alla voce, presente nella colonna di Underworld, dove i loops elettronici di sottofondo disturbano, ma poi arriva Greg con tutta la sua cristallina grazia, in un finale da far strappare i vestiti a qualsiasi sentimentalone.
Poi arriva lo spettro degli At The Drive-In, un passaggio talmente veloce che scivola via.
Ma per chi è in cerca di emozioni forti, la band serve il piatto di Unretrofied, la loro canzone “pop” per eccellenza. Chitarre meditate, basso trip-hopposo, escursioni di piano e un ritornello strappalacrime :

“I'll just fake it in the end just save it for a new song and leave dead in the end time is wasted inthe end wood paneled wagon carpool dragons killing me again”

Deflafgra per un momento, ma è solo disperazione, poi c’è la resa, l’abbandono. In un finale che definire toccante è poco. I Dillinger che suonano così, sfiorando i sei minuti, sì, sono cambiati.Peccato che l’album non finisca qua, ma invece il sipario è calato da The Perfect Design, grande canzone, in linea con i loro standard però, che niente aggiunge e nulla toglie a questo grandissimo album, forse, forse, il migliore della band, Patton o non Patton.
Neuros

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