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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Converge: Petitioning The Empty Sky (1998)

giovedì 30 ottobre 2008

Converge: Petitioning The Empty Sky (1998)



Etichetta:
Equal Vision

Anno:
1998

Tracklist:
1."The Saddest Day" – 7:05
2."Forsaken" – 2:20
3."Albatross" – 1:49
4."Dead" – 3:05
5."Shingles" – 4:13
6."Buried But Breathing" – 1:11
7."Farewell Note To This City" – 5:20
8."Color Me Blood Red" – 3:57

Line up:
Jacob Bannon - Vocals, Lyrics, Visuals
Kurt Ballou - Guitar, Vocals, Bass, Keyboards, Percussion, Theremin
Aaron Dalbec - Guitar
Stephen Brodsky - Bass
Damon Bellorado - Drums

Non è una novità il mio amore per la band statunitense di Kurt Ballou, Jacob Bannon, Nate Newton e Ben Koller…Un combo che è stato fondamentale per la musica moderna, una band che ha osato, è andata oltre e insieme a poche altre ha dato vita a un movimento che, ai giorni d’oggi, trabocca di idee e fantasia, impatto e maestosità, gioia e dolore, vita e morte, un movimento che vede ancora loro a tirare le fila nel 2008, ovvero da 18 anni ormai (1990 risale il primo nucleo della band) , un movimento che senza il loro contributo ora sarebbe inesistente, ovvero l’hardcore evoluto (o meglio involuto), e altri generi ora sarebbero ancora carenti di spunti, divenuti ora fondamentali per la loro crescita ed espansione…Correva l’anno 2001 quando sulla scena musicale, comparve quel obelisco sonoro dal nome Jane Doe.Un album che è leggenda, imprescindibile, che portò la band nel gotha della scena estrema.Tanto si è detto su questo album, mai troppo sia chiaro, ma le cose semplici non fanno per me, e soprattutto è bene ricordare che il percorso della band era già chiaro nel 1997, quando la band diede alla luce una colata di magma a titolo di Petitioning The Empty Sky.Il dolore posto in musica, il caos e la creazione, l’intimo che alberga all’interno del nostro animo, mettere a nudo l’ascoltatore, renderlo inerme, senza speranza, guidarlo ad affrontare il proprio lato oscuro, e condurlo alla quadratura del proprio ego, grazie a lampi di razionalità che colpiscono al posto e al momento giusto per donarci la pace dei sensi, luoghi della mente dove tutto è pacato, lieve, etereo.Cambi di tempo, vocals che squarciano l’aria satura, malsana, per convertirsi in cori infantili, arabeschi chitarristici talmente spontanei che paiono scritti in pochi minuti, in un momento di estasi creativa. La melodia arriva come una lama, altre volte si perde nel caos, e riconoscerla nel riffing diventa il vero piacere. Solos nervosi, scale insane, riff spesso di matrice Bay Area, stuprati, privati dell’anima e plasmati in nuova forma, migliore.L’album si apre con The Suddest Day, veloce nervosa, una belva in gabbia, armonie malsane ed ecco il riff che entra più lento e cadenzato, come dei fendenti che arrivano al petto, e vanno a creare un vortice dal quale non si può venire fuori, mentre il basso ben scandito pare contare i secondi che mancano al nostro ultimo respiro, ma la tortura è un piatto che deve essere servito lentamente, ed ecco i rimi che crescono, citando gli Slayer con un solo di King-iana fattura, la song continua come un’altalena, martellante, perseverando sulla parte lesa, e non si può altro che supplicare il perdono, facendo l’eco delle vocals pulite di Jacob che paiono ad un tratto una litanà malefica, ma ritmi sincopati ci riportano a terra ed ecco che il giro di giostra ricomincia nuovamente, vorremmo espellere ciò che abbiamo dentro, ma non si riesce poiché ipnotizzati. Nient altro importa, solo il singolo, il proprio battito del cuore, solo:

“And we won't be breathing in that same sun again”"How we get older, how we forget about each other"

Forsaken. Il titolo dice tutto.L’abbandono, al proprio destino, il tempo che scorre scandito da riff di chitarra pieni e quadrati. Taglienti come lame di rasoio, e la batteria che alza il ritmo e il “Go” di Jacob toglie qualsiasi freno, fisico e mentale, ci lascia nell’oblio, a perdersi nel Lete, come in uno squarcio nel tempo, dove ci paiono passati giorni, ma tutto accade in solo 2.20 min. dove tutto è fermo:

“I am as cold as the monuments you left for me, and another one passes in the evening”

Il dolore aumenta, diventa insopportabile, ma conduce al piacere, morboso piacere al quale non vogliamo rinunciare.E arriva Albatross a portarci via, 1.49 min. dove uno schiaffo punk/hc violento e nero come la pece ci immobilizza e inermi assistiamo all’occhio del ciclone, una falsa quiete dove chitarre sussurrate e acustiche ci cullano:

“We breathe out of key and wonder. If you can hear the awkwardness in these tremors”

con occhio assassino però, perché arriva Dead che dopo pochi secondi getta la maschera e si mostra in tutta la sua pena e malvagità dove le vocals di Jacob paiono le urla di una anima lacerata, e i riff di Kurt allargano ogni nostra ferita, soprattutto quelle che ci portiamo nel cuore:

“You never loved me. Dead.”

Ormai piangiamo e lacrime paiono i solos che aprono Shingles, non possiamo smettere di flagellarci il cuore perchè è un male nel quale ci ritroviamo, un maelstrom nero sostenuto dal basso di Nate, che porta alla confusione che riside nel profondo, ben esplicata dal dualismo creato da chitarre acustiche e scream di Jacob, la luce e l’ombra che risiedono in ognuno di noi:

“And you can make reasons for everything But as long as I dream some things will always be. Gun in my mouth, I pray for the sunshine”

Siamo rassegnati e i ritmi forsennati di Buried and Breathing paiono proprio volerci sotterrare, il corpo sotto terra, l’animo sotto l’angoscia di un domani inutile, senza che che ne si accorga poiché tutto avviene in 1.11 min. , veloce come un treno, che rappresenta il nostro futuro:

“For the dyin beautiful, and the infinite end. I never got to say, I never had the chance to listen. I missed this train. Buried but breathing, this evening sleeps. Buried but breathing, these devils weep”

Lo sconforto ci avvolge, piove e torniamo al nostro nido, la buia città ci accoglie, spenta e putrida, ma per una qualche oscura ragione, accogliente, già, erchè ci piace crogiolarci nel nostro sangue, nel nostro sudore, è vero, è uno schifo, ma è familiare , e questo ci conforta e ricominciamo a piangere, ma di gioia e urliamo al mondo la nostra felicità, a pieni polmoni, e in sottofondo, una melodia mai così angelica e liberatoria, quasi bambina:

“Disenchanting the romantic. This is the real, this is the shame. These limbs search feverishly for the gift of gravity. Coarse twine tears clean. And i have thought about this very instance for all time. Decades longer that you or I. Crimson comforting, scorching this flesh, giving its caring for me. And i have thought about these moments for all time. Dangling from a silver lining. These lungs welcome the crimson tides of misfortune. Hell to pay, this is my farewell to this city.”

Ora siamo in piedi, pronti a lottare, il male si ripresenta, strisciante come una serpe, un riff lento e sulfureo, ma ormai siamo padroni del nostro Io e possiamo reagire, furenti come non mai, ci sbucciamo le nocche e il sangue scorre (Color Me Blood Red),ormai sappiamo convivere con il dolore, e corriamo avanti verso l’ignoto, sostenuti da chitarre aspre ma evocative, non più nere, ma grige, poiché la luce traspare, nel futuro è presente:

“Please love, just come home again. Just let this one pass, there will be another. And this after before the pain. Every deliberate hangs by my left hand. Those eyelids and this warm water floods my nostrils. Neck deep, i cry high. Together we sleep, slouched discolored porcelain. Dreaming of those elucid moments when smiles hang high. Limbs outsretchded, a bad moon rising. Faucet turning. Desolation churning. Drowning in what we've become. Neck deep, i cry high. I have spilled and you cannot fathom the notion, that it was the end of something. This is the end.”

Neuros

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