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sabato 28 febbraio 2009

Anathema - Judgement (1999)

Sento il mio cuore bruciare
Nel profondo...bramando
So che sta giungendo


Anno: 1999
Etichetta: Music For Nations

Line Up:
Vincent Cavanagh - Guitar, Vocals
Daniel Cavanagh - Guitar, Keyboards, Vocals on 7
Dave Pybus - Bass
John Douglas - Drums

Tracklist:
1.Deep04:53
2.Pitiless03:11
3.Forgotten Hopes03:50
4.Destiny Is Dead01:47
5.Make It Right (F.F.S.)04:19
6.One Last Goodbye05:24
7.Parisienne Moonlight02:10
8.Judgement04:20
9.Don't Look Too Far04:57
10.Emotional Winter05:54
11.Wings of God06:29
12.Anyone, Anywhere04:51
13.2000 & Gone04:51

detonazione.

Un anno dall'ultimo disco. La distanza è così breve,le vicende,altrettanto imprevedibili. Ciò che si acquista,son due perdite. Che privano i fratelli Cavanagh dei loro equilibri nella quotidianeità della vita che in ambito musicale, per sfuggire dal dolore,si stringono alla loro comune passione,la terra d'origine attorno ad una tale babele,sembra così diversa e caotica,che decidono di partire.
La meta è un piccolo comune ligure con meno di trentamila abitanti , Ventimiglia li accoglie nei Damage Inc. Studios alle porte della primavera.
Nonostante i fratelli siano gli unici superstiti della lineup precedente a questo album,Judgement non si mostra come una presenza alterata nella discografia della band,mostrando semmai una maggiore dipartizione dei ruoli nella band, non più divisa tra due compositori, ma una partecipazione che comprende tutti e cinque i membri della band per almeno due composizioni ciascuno.
L'analisi è subito confermata dai pezzi di apertura, i primi quattro non sono altro che una furba suite organizzata in quattro episodi,completamente legate tra loro ma realizzate con una cura simile da acquisire un gran valore anche se ascoltate in maniera singola; Deep mostra il viso della malinconia crepuscolare in un velo di arpeggi delicati, Pitless parte all offensiva,graffiando l'aria con uno spirito energico ,subito troviamo il lato più acustico e intimista del rock. Destiny is Dead ne è il naturale prolungamento strumentale che sintetizza in pochissimi accordi l'alto valore delle geometrie sonore della band.
John Douglas realizza con Make it Right il suo primo brano interamente composto con gli Anathema,che nonostante una discreta struttura di archi e sovraincisioni vocali,non incide come dovrebbe, a seguire arriva uno dei cavalli di battaglia della band, La struggente dedica alla madre scomparsa prematuramente.Il segreto di One Last Goodbye risiede proprio nella sua semplicità, una composizione fresca e spontanea schiude la ballad come un dolce fiore di semplici e dirette parole, il nettare che sgorga è immediato quanto sentito, lontano però dalla banale retorica, accarezza il cuore lacrimante così ben interpretato dal crescendo dell'assolo finale.

Quanto ho bisogno di te
Come soffro ora che te ne sei andata
Nei miei sogni ti vedo
Mi sveglio così solo
So che non volevi andartene
Il tuo cuore desiderava restare
Ma la forza che ho sempre amato in te
Alla fine se ne è andata
In qualche modo ho capito che volevi lasciarmi in questo modo
In qualche modo ho saputo che non potevi mai... mai rimanere
E nella luce del mattino presto
Dopo una silenziosa notte serena
Hai portato via il mio cuore
e io soffro

La storia di un addio è il medesimo argomento narrato dalla timida voce di Lee Douglas in un vortice creato da un minimalista e raffinato giro di pianoforte per una Parisienne Moonlight a metà tra il brano sfuggente e un intermezzo elaborato.
La titletrack lascia intuire un proseguo sulle rilassate sonorità appena oltrepassate, ma sa mentire con un affamato ritmo in crescendo che divora l'urlo di angoscia,scaturendo un assalto del drumkit di Douglas in un perfetto fraseggio Thrash metal sorretto da una imponente chitarra ritmica ,ma il pezzo elude in una morte istantanea, cogliendo impreparato l'ascoltatore.
Riemerge il sole in Don't Look Too Far , nel placido abbandonarsi nella atmosfera ricreata e poi corrotta da un inserto acido delle sei corde, condizione analoga in “Emotional Winter” in ispirazione molto più floydiana nell intro con chitarre a dialogare tra echi e riverberi ,protagoniste anche in “Wings Of God” in una sorta di continua risposta impetuosa alle strofe di Vincent, in questo caso però i 3 minuti strumentali sarebbero stati da dimezzare o da approfondire con soluzioni diverse. E ciò dimostra il lato acerbo del Douglas compositore che si fa preferire nelle vesti di musicista, a differenza del nuovo acquisto(nonchè amico di vecchia data) Dave Pybus, che non possiederà certo in tocco e l'estro di Duncan ,ma mostra una discreta familiarità con il songwriting d'alto livello della splendida “Anyone,Anywhere”in collaborazione con l'italiano Dario Patti (Dayan Same,Voodoo Hill)autore di una ottima prestazione e della strumentale “2000&Gone”(di ispirazione al film 2001 Odissea Nello Spazio” che scorre sognante e ispirata a far da riflesso all'intera opera,ricca di atmosfere caldamente gelide,ove la tensione ha lasciato spazio a quella malinconia intesa come la felicità di esser tristi. Perchè comunque presenti. E loro rispondono con decisione all'appello ancora una volta.

Gidan Razorblade

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venerdì 27 febbraio 2009

Anathema - Alternative 4 (1998)


Anno: 1998
Etichetta: Peaceville Records

Line Up:
Vincent Cavanagh - Guitar/Vocals
Daniel Cavanagh - Guitar
Duncan Patterson - Bass
Shaun Steels - Drums

Tracklist:
1.Shroud of False01:37
2.Fragile Dreams05:32
3.Empty03:00
4.Lost Control05:50
5.Re-Connect03:52
6.Inner Silence03:08
7.Alternative 406:18
8.Regret07:58
9.Feel05:28
10.Destiny02:14

We are just a moment in time
A blink of an eye
A dream for the blind
Visions from a dying brain
I hope you don't understand




L'angelo pare essersi restaurato nel corso delle due copertine, è radicalmente mutato dalla figura che appariva in Eternity, una veste decisamente modernizzata, dallo sfondo incolore,a far risaltar maggiormente il non volto al centro della figura, celato o assente che sia, dona una sensazione di maggior introspettività e desiderio di restar confinati tra i propri pensieri ; anche se la spiegazione più materialista la conferì Daniel, nell' indicare come ispiratore, un libro chiamato Alternative 3 (di Leslie Watkins ) che forniva una spiegazione ipotetica su teorie che potessero prevenire la distruzione del mondo,la terza possibilità era lasciare il pianeta. Dunque gli Anathema con questa copertina da “Angelonauta” , vollero esprimere una loro aggiuntiva opinione per la salvezza.
Ma i membri della band sono in realtà 4,e non è detto che i pareri in un gruppo debbano essere unanimi, Duncan infatti motiva la scelta del titolo interpretando il libro sovracitato da un lato diverso, oscurando l'effetto, punta il dito sulla causa :la cospirazione che poi porta alla formulazione delle tesi. Ed è per questo che molte delle liriche dell'album hanno la Fiducia come protagonista.
Esordire così, rende la fotografia del gruppo (entrato in sala di registrazione a gennaio del 1998,per poi uscirne sei mesi dopo) sicuramente più nitida, la creatività corre impetuosa sull'asse Patterson /Danny Cavanagh alternati da tranquilli separati in casa,mentre Shaun Steels si accomoda dietro le pelli. Ci sarebbero tutte le attenuanti per una raccolta di per se discontinua, eppure l'omogeneità rappresenta uno dei molteplici punti di forza di questo capolavoro.
"Shroud Of False" è la risposta prima della domanda,un intro dolcemente cinico affidato ad una unica strofa intrisa di significati,poi va via tra gli echi e i pensieri destati con esso, ci raggiunge "Fragile Dreams" tra una divina sezione fiati accompagnato da un crescendo di batteria culminante in un riff memorabile che ha la sua evoluzione solo poco prima che subentri il cantato,il risultato è di una emotività disarmante. “Empty” è decisamente il brano più catchy dell'opera, presentando una batteria addirittura programmata,Vincent riesce a fornire con la sua interpretazione vocale la rabbia all'intero pezzo,ottenendo una tregua solo per un breve intermezzo di pianoforte. Lo stesso strumento, contorna di note raminghe la confessione intimistica del vocalist nella successiva “Lost Control” delicatamente dissanguata da un fiume di violini. “Re-connect” è l'unico brano che spezza la dittatura compositiva del duo,è appunto firmata dal cantante, un vestito di accordi perfettamente indossato dai suoi numerosi cambi di registro.
L'inaspettato momento di serenità giunge con “Inner Silence”, filtrato di una tenera rassegnazione, sotto l'incisività delle pelli di Shaun ,la band continua a viaggiare nelle emozioni più introspettive dell'animo umano,senza soste ne retorica. Capolavoro strutturale è la titletrack, Duncan arpeggia nervoso un giro paranoico,turbinato dalle spaziali tastiere lisergiche, si manifesta la quarta alternativa:l'olocausto dell'umanita. Nel gelo di un ritornello che non esiste. È silenzio. È poesia eretta da un fraseggio di batteria e chitarra che squarcia la tensione accumulata.
Danny introduce altre novità nel sound della band, un hammond (!) si fa spazio nell'aria di una timida chitarra acustica,e la carica emotiva del fratello, ornata da cori e archi ,il risultato è ciò che le parole possono solo intrappolare, limitative in questo turbine di “sapori uditivi” assaggiati in 8 minutie nemmeno un secondo offerto alla noia. Patterson firma la strada verso la fine, la dolceamara “Feel” dai contorni organistici quasi religiosi ,e “Destiny” , incentrata nel gotico giro di tastiera (se ne risentirà il richiamo nella seconda parte di Going Nowhere quattro anni dopo, incluso nel primo cd dei suoi Antimatter) che accompagna la speranzosa preghiera di Vincent ,la ninna nanna che addormenta il dolore ,consegnadoci una pietra miliare degli anni novanta, frutto di emozioni catturate in dieci composizioni in maniera cosi efficace, da sentirle pulsare ogni volta,come insegna la fine del sesto brano.

When the silence beckons
And the day draws to a close
When the light of your life sighs
And love dies in your eyes
Only then will I realize
What you mean to me.

Gidan Razorblade

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giovedì 26 febbraio 2009

Anathema - Eternity (1996)


Anno: 1996
Etichetta: Peaceville Records

Line Up:
Vincent Cavanagh - Guitar/Vocals
Daniel Cavanagh - Guitar
Duncan Patterson - Bass
John Douglas - Drums

Tracklist:
1.Sentient02:59
2.Angelica05:51
3.The Beloved04:44
4.Eternity, Part I05:35
5.Eternity, Part II03:12
6.Hope (Roy Harper cover)05:55
7.Suicide Veil05:11
8.Radiance05:52
9.Far Away05:30
10.Eternity, Part III04:44
11.Cries on the Wind05:01
12.Ascension (instrumental)03:20


Tre settimane nel freddo Gallese,e la mutazione arriva, spontanea come non mai. Siamo nel 1996, e l'allontanamento di una band da sonorità estreme verso lidi rock più intimistici non è ancora considerata un'evoluzione comune, era chiaro che per scalar le vette del successo,la band avrebbe potuto tranquillamente realizzare un The Silent Enigma 2 per far fruttare le casse, ma sarebbe stato come congelarsi, in quella umidità anglosassone. Così dalle tetre statue dei primi artwork stavolta emerge solo un candido angelo contornato di tinte lisergicamente acide di uno spazio sconfinato Il filo conduttore resta, il Doom è presente nella sua essenza eterea ,respirabile nel sapore della sconfitta, della certezza della perdita. Emerge però un tenue sole alla distanza che ridisegna la filosofia della band, la nascita di un qualcosa. Vien persino celebrato nell'intro “Sentient” ,il vagito del neonato cullato dalle note della (ancora per poco) Guest al piano&tastiere , Les Smith che celestialmente accompagna le corde di Daniel.
Un inzio sussurrato del quartetto di Liverpool, che accende la disperazione all'unisono con gli amplificatori nella successiva “Angelica” ,divenuto oramai un classico delle setlist dei live,i riff lasciano spazio a vere e proprie composizioni strumentali intorno alla tragicità romantica della voce di Vincent, la somma è una autentica perla di nera passionalità. “The Beloved” scala la cima dell'intensità collegndosi al brano antecedente, è rabbia che sanguina dalle casse degli amplificatori , la risposta prima della domanda. Che giunge successivamente a metà della composizione.
Quasi a voler dare uno stampo prog, ci troviamo di fronte ai primi due frammenti di titletrack, il primo dai ritmi sostenuti che esplodono al culmine di quel “do you think we're forever?” e orchestrazioni spettrali di tastiere e un outro addirittura elettronico ,”Eternity part2” unisce passaggi onirici di voci distorte, ruscelli che scorrono,Michelle Richfield (che ritroveremo nel progetto Antimatter) conclude con tre semplici parole ,esaltate da una notevole delicatezza, questo omaggio alla scuola floydiana . A segnalarne ancor più marcatamente l'influenza, è la successiva cover “Hope” ,scritta appunto da Gilmour per Roy Harper , ed è proprio quest'ultimo ad introdurre le note con uno spoken, il dialogo successivamente si fa duplice, la chitarra quasi si estrane in un giro ossessivo a spirale che ingloba il cantato che raggiunge l'estasi nel ritornello poi affiancato da echi syntati .
È il cuore del disco, offerto dal pezzo forse più cupo della raccolta, “Suicide Veil” ,il doom spogliato e rivestito da musicisti esperti, ma innanzitutto dalla sensibilità di uomini capaci di fondere i ritmi sostenuti e tastiere decadenti tipiche del genere, con l'enfasi interpretativa di Vincent nel ritornello. Una piacevole coda strumentale poi sfuma senza abbandonare la mente.
Radiance” fa da specchio alla produzione del disco, povera e scarna, che non intacca la bellezza del disco anzi, la risalta, nella crudezza delle sonorità ,allontanando del tutto possibilità di deja vù, nonostante ciò, è l'arte psichedelica della chitarra di Danny a riaddrizza le sorti del pezzo che altrimenti sarebbe da valutare un gradino sotto gli altri. La penna di Duncan tinge nuovamente l'album di torbida introspettività nella successiva “Far Away” , gravitato intorno alla ipnotica nenia del ritornello e ai ripetuti scambi d'intesa tra le sue quattro corde e la chitarra acustica . Strumenti che proseguono il dialogo nella successiva “Eternity part 3” , Douglas trascina questa marcia doom (che elude solo in un fraseggio tribalista ) per poi lasciarsi andare in un energica accelerazione thrash. In "Cries On The Wind" sono i registri a cambiare, Patterson alza il volume nella strofa recitata più che cantata, e i fratelli Cavanagh domano la seconda parte in uno stretto intreccio chitarristico che muore in sacrificio dell'esaltazione dell'ultimo verso:

Don't dwell on the forthcoming
As I know it won't be happening
And you know, when I'm gone
You'll hear my cries on the wind

le labbra non si schiudono ulteriormente, lasciando all'estro di “Ascension” l'agio di comunicare il verbo della speranza, in un impeto di positività ed energia poi riposato da quei tasti bianchi e neri che avevano aperto il sipario di questo capolavoro inferiore solo ai due lavori più cronologicamente vicini ad esso, .

Le bonus track di questo album sono le pregevoli versione acustiche di “Far Away” e “Eternity part 3” che mostrano l'attitudine dei musicisti a riproporre brani in chiave completamente acustica, successivamente dimostrata in un intero tour del gruppo e della pubblicazione dell' ep “A Dream For A Blind” del nuovo progetto di Duncan Patterson.

La versione giapponese include l'eccezionale riarrangiamento di Sleepless con il carisma di Vincent dietro al microfono e Michelle Richfield , l'elaborato risulta sicuramente più accattivante e incisivo dell'originale.

Gidan Razorblade

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martedì 24 febbraio 2009

Tv on the radio - Return to cookie mountain (2006)

Giustifica
Anno: 2006
Etichetta: Interscope Records

Tracklist:
1. I Was A Lover
2. Hours
3. Province
4. Playhouses
5. Wolf Like Me
6. A Method
7. Let The Devil In
8. Dirtywhirl
9. Blues From Down Here
10. Tonight
11. Wash The Day

Premessa:
La domanda più difficile a cui mi sia capitato di rispondere, parlando dei Tv on the radio, è stata sicuramente: “Ma che genere fanno?” . Come se fosse necessario etichettare un gruppo, vincolarlo ad una categoria per invogliare l’ascoltare a dargli una chances. Ed io non so rispondere di botto, con una sola etichetta/genere/ categoria/specie: i tv on the radio sono sostanzialmente un gruppo (afro)americano che si diverte a buttare dentro il proprio calderone un po’ di tutto: rock, blues, elettronica, indie, alternative, gospel, r n’b, qualche accenno di post-punk (che non guasta mai, quel gusto per la musica di classe degli anni’80) ed un mood in cui tutti sono sia polistrumentisti sia vocalisti. Abbiamo una certa stabilità nel ruolo all’interno della band, ma da una canzone all’altra il cantante viene affiancato da altre due o tre voci, spesso queste sono corali.

Il disco:
Return to cookie mountain è riuscito nell’impresa di accontentare diverse tipologie di palato: dal popolo del blues, ai patiti di ambient, a coloro che amano lo shoegazing, alla tradizione “nera” fino agli indieani (coloro che ascoltano indie) che non disdegnano le melodie ed i brani mainstream.
I was a lover: inizia con un beat incrociato con qualche effetto ben assestato, qualche riverbero ripetuto ed una cadenza che è dimessa, quasi ad intensificare il senso della canzone, il tutto mentre si ode un piano in lontananza; “io ero un amante, prima di questa guerra”, così recita il cantante nelle prime battute del brano, un conflitto sia fisico che spirituale, il cui unico scopo è allontanare la pace e trasformarci, eliminare ogni traccia di bellezza e di sentimentalismo, come se la pace fosse un crimine. E’ una litania impolverata, che dà l’idea di un uomo affetto dalla crisi di mezza età che guarda le proprie mani e si chiede che fine abbia fatto, consolato dalla scoperta che ha raggiunto una maturità e non ha perso i ricordi.
Hours: la struttura è particolare, perché la medesima strofa viene ripetuta contemporaneamente da due voci diverse, una più baritonale ed una più acuta, mentre dietro il basso e la batteria costruiscono un soffice e corposo letto su cui adagiare il tutto. La band al completo esegue acrobazie vocali, quasi tutte fungono da melodia regina, da seguire come il filo di Arianna per evadere da una realtà sporca e infausta.
Province: vede la partecipazione in fase vocale-compositiva del duca bianco, sir David Bowie. Qui ziggy stardust è un valore aggiunto, un contrappeso con la sua voce più grave rispetto agli acuti (in certi punti anche femminili, oserei dire) del cantante, mentre il pianoforte e le pelli sorreggono l’intera impalcatura, in pieno stile blues-ambient. Non saprei dire se si tratti di un piano a coda, o di un pianoforte modificato con l’aggiunta di campanelli o di vibrafoni, fatto stà che l’insieme è stupendo e molto godibile.
Playhouses: digital ambient ed elettronica, la batteria spesso sia avvicina ad una drum machine, e le voci sono registrate contemporaneamente su più piste, come una ragnatela su cui veniamo catturati e rimaniamo impassibili, si ferma ogni attività del nostro organismo, a parte un lieve movimento della testa, cercando di andare a tempo.
Wolf like me: primo singolo estratto, personalmente la ritengo miglior canzone dell’intero 2006. Non riesco a descriverla, sono troppo di parte: guardatevi il video e poi vediamo se non siete d’accordo. L’ho detto che parla di licantropia? Beh, grossomodo si.
A method: sicuramente tra le più toccanti ed emotive di tutto il full –lenght, dove la spiritualità si fonde con la parte più passionale e sensibile della nostra anima; tutta la matrice gospel-blues, si riversa all’interno della canzone, sfiorando vette di altissima fattura.
Let the devil in: silenzio…una persona che fischia nella nebbia, intona una melodia con fare religioso, il tutto si trasforma in una marcia del sentimento, in cui al posto della batteria e delle percussioni ci sono gli strumenti più antichi del mondo: le mani e la voce. E’ un canto apotropaico, atto a scacciare i propri demoni interni.
Dirty whirlwind: altra traccia abbastanza simile alla precendente, ma qui abbiamo al posto deli battiti sincoronizzati delle mani, i tamburelli ed il pianoforte.
Blues from down here: ossia come prendere un brano blues e traslarlo su una base elettronica, continuata, indie e tremendamente distorta , dove il feedback tipico dello shoegaze regna sovrano.
Tonight: è un grido di ribellione che si alza verso il cielo, aiutato dagli amplificatori portati al volume massimo, in un turbinio di suoni che strizzano l’occhio al noise.
Wash the day: conclude il disco, ed un pò dispiace che sia finito. Ma allo stesso tempo siamo sicuri che questo secondo lavoro del gruppo di Brooklin sia solo l’ennesimo passo verso il capolavoro assoluto che li consacrerà ai posteri.

Sgabrioz

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venerdì 20 febbraio 2009

Smashing Pumpkins - Zeitgeist (2007)


Anno: 2007
Etichetta: Reprise

Line Up:
Billy Corgan – vocals, guitars, bass, keyboards, producer
Jimmy Chamberlin – drums, percussion, producer

Tracklist:
  1. "Doomsday Clock" – 3:44
  2. "7 Shades of Black" – 3:17
  3. "Bleeding the Orchid" – 4:03
  4. "That's the Way (My Love Is)" – 3:48
  5. "Tarantula" – 3:51
  6. "Starz" – 3:43
  7. "United States" – 9:53
  8. "Neverlost" – 4:20
  9. "Bring the Light" – 3:40
  10. "(Come On) Let's Go!" – 3:19
  11. "For God and Country" – 4:24
  12. "Pomp and Circumstances" – 4:21
Come era lecito aspettarsi, fans&critica si spartiscono le loro porzioni di giudizio sul disco, nero o bianco. Indi il primo errore non è di Corgan che riunisce la band , ma come la gente si approccia al nuovo prodotto, ignorando le sfumature di grigio. Così familiari per Billy, che di nuvole ne ha viste in questi anni, tornato sui passi di una decisione che per certi versi resta definitiva. Rabbia&sogni sono incastonati nei dischetti di una pagina di storia che, in dieci anni, ha avuto abbastanza tempo per voltarsi.
Il nuovo foglio vergine vede Jim e il Deux ex machina in questo 2007 registrare un disco senza il bisogno di partner aggiuntivi, se non di tre pupazzi pronti per il numero da ventriloquo una volta on stage. Non C'è D'arcy, Non c'è Melissa.
Non c'è Iha.
e dunque?

there's wagers on this fear, ooh, so clear
depends on what you'll pay to hear

Risponde il cantante nell'opener Doomsday Clock , forte del suo riff stoner e di un fare abbastanza ruffiano, all'orecchio salta subito la differenze di produzione dal disco precedente, sparita l'overdose di chitarre , resta un impostazione decisamente alta del sound, che da l'idea di un timbro letteralmente sparato sulle casse un po' a scapito della definizione e spessore. Insomma è chiaro che le intenzioni siano quelle di riporre la carezza e forzar la serratura di violenza, “Shades Of Black “ conferma la prospettiva , con un attitudine diretta, sovraincisioni vocali convincenti per un pezzo abbastanza tirato. “Bleeding The Orchid “ ha un sapore deftonesiano, parte con un coro gospel ( che sarebbero la colonna sonora perfetta per il libro di poesie pubblicato dall' artista un paio d' anni fa ) e i due musicisti sono abili a fornir una incisiva impronta rock alla linea melodica. Gli Zwan sono alla fine solo un ricordo che riemerge dalla palude a tratti, “That's The Way (My Love Is) “ ne è l'esempio, fortunatamente ricorda la band solo nel songwriting (nell'intro c è una vaga citazione anche a Little Miss Lover di Hendrix), sviluppata senza troppi fronzoli , da risultar gradevole . Billy è ancora capace di creare trame melodiche da incastrarvici sopra , la ragnatela “Tarantula “ cattura alla perfezione, alchimia vincente tra rock 70's ed echi di sogni siamesi rafforzati dal gain impazzito del finale.
Esalti una scelta e ne discuti un altra, sarà arduo trovare un ascoltatore che sarà d'accordo o contrariato al 90% sulle scelte stilistiche del lavoro complessivo, vade retro, giudizio così schacciante . Insulto o ringraziamento da porgere ai bootlegs pre album, ove ognuno fantasticava sulla resa studio delle composizioni. Ed ecco allora “Starz” , partito come brano da pitturare, è stato invece riverniciato. Con un insano bilanciamento tra riffing, cori e voce. Al momento in cui si tende ad alzare il volume per ascoltare la chitarra, un secondo dopo ci si ritrova letteralmente con la lingua di Corgan nelle orecchie, e vi assicuro che le fantasie sessuali non c' entrano. L'impasto Hard non rende appieno le potenzialità, salvate solo da un Jimmy in grande spolvero sui piatti. È proprio lui ad incoronare “United States” con una prestazione superlativa. Shuffle nervosissimo che pavimenta il riff profondamente sabbathico di chitarra , è solo l'intro di un gran pezzo a tre fasi, mescolante una buona dose di psichedelia, cattiveria “zuccata” e fraseggi corrosivi e metallici. Perfetta. Un armistizio è rappresentato da “Neverlost” , dolce ballata accompagnata dall'uso anche di uno xilofono e una buona dose di phatos, un delicato intermezzo che sbilancia l'album, ma questo non deve esser per forza identificato come un punto a sfavore. A patto non si cada nella trappola poi della banalità come accade in “Bring The Light” , insignificante e noioso pezzo poppeggiante ove Corgan non si prende nemmeno tanto la briga di scriverne un testo (vista la ripetività della theme) , e onestamente non è ben chiaro a questo punto che senso abbia avuto inserirla in tracklist , lasciando appunto fuori la stessa titletrack e Stellar. A completare l'asse debole ci pensa “Come on (let's go) , risultando anonima, come se fosse stata registrata in presa diretta una jam session di scazzo mentre stanno accordando gli strumenti . Avviandoci verso la fine del disco, il profumo di 80's si fa più intenso, “For God And Country “ sposa la tradizione New Wave con richiami ad intuizioni Bowiane ( “Ashes to Ashes” ) , scherzosamente la si può immaginare come i Depeche Mode che si recano in chiesa , tra la sorpresa e lo sconcerto, il primo vince però la sfida. Il secondo si prende la rivincita nella conclusiva “Pomp and Circumstances “ ,l scelta di chiamare Baker (Queen ) in cabina si fa ancora notare, anzi, pesare. Nel complesso è eccessivamente kitch , spersonalizza il duo ingabbiato in lidi cari ad Enya e una schitarrata alla May. Il disco si ferma , e diventa un vassoio. Di cui adesso sei conscio della portata, luci e ombre, ombre nelle luci,ma soddisfacente, nonostante manchino quelle strutture musicali perfettamente intrecciate con l'ugola maleducata di Corgan che scaturiscano veri picchi emozionali. Non persi dietro a barocchismi vocali e tastiere da restituire al prete . All' impasse dunque attendiamo dopo questa buona prova, di un progetto nuovamente plasmato di aspettative diverse, crescendo .
Ma intanto ti volti, e scopri che Gish è quasi maggiorenne...

Gidan Razorblade

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mercoledì 18 febbraio 2009

Smashing Pumpkins - Machina/The Machines of God (2000)


Anno: 2000
Etichetta: Virgin Records

Line-up:
Billy Corgan – vocals, guitar, bass on "Age of Innocence", producer, art direction, mixing
James Iha – guitar
D'arcy Wretzky – bass
Jimmy Chamberlin – drums

Tracklist:
1. "The Everlasting Gaze" – 4:00
2. "Raindrops + Sunshowers" – 4:39
3. "Stand Inside Your Love" – 4:14
4. "I of the Mourning" – 4:37
5. "The Sacred and Profane" – 4:22
6. "Try, Try, Try" – 5:09
7. "Heavy Metal Machine" – 5:52
8. "This Time" – 4:43
9. "The Imploding Voice" – 4:24
10. "Glass and the Ghost Children" – 9:56
11. "Wound" – 3:58
12. "The Crying Tree of Mercury" – 3:43
13. "With Every Light" – 3:56
14. "Blue Skies Bring Tears" – 5:45
15. "Age of Innocence" – 3:55

Probabilmente se oggi qualcuno chiedesse a Billy di spiegare il Concept dietro al disco (a tal proposito, c è chi ne ha fatto un lavoro preciso Scaricatelo ), farebbe di tutto per rendere il concetto più vago possibile, perchè nemmeno al creatore è poi così chiara la mescolanza di esoterismo,teologia e filosofia che viene incastrata tra liriche e booklet, ma questo è solo un incentivo per chi ama le cose che han una mappa ma non le coordinate precise di una locazione. Magari si ottiene più di quello che l'artista cercava di esprimere. Ma c è un confine sottile tra l'etereo/indefinito e la confusione, si può passar del tempo a viaggiar tra le due porte, senza saper effettivamente in quale delle due si sta dimorando. Questo spiega gli ultimi passi della band prima della seconda nascita ( no, Rinascita per me non è un termine adatto) e in particolare , del clima che portò alle stampe questo album. Dalla produzione diversa da tutti gli altri dischi, un muro di chitarre imponente dal sapore retrò, richiamante gli 70's in quel accompagnamento acustico e tastiera saturante ( “Wound” ) dai testi zuccherosi e scelte cariche di gain (“I Of The Mourning” ,e c'è da chiedersi perchè la gente si stupì del disco degli Zwan ) rievocando una certa componente solare quasi del tutto inedita alla loro carriera ( “This Time” ) proprio in ricami ottimistici delle 6 corde . Il songwriting appare ancor più ridotto all'essenziale (“ Age of Innocence” ) e negli episodi meno riusciti ( “The Sacred And Profane” , “With Every Light” ) ricordano gli eccessi pomposi dell'ultima release. Senza però sconfinare nei meri riempitivi in se. Perchè il disco ha una sua importanza storica, segna una svolta nel timone di Corgan per diversi versi:
Innanzitutto la sua attitudine nello sporcare ottimi pezzi rock/pop raffinati con una manciata di ritornelli di troppo ( “Try,Try,Try” ) , e alla ricerca ossessionata della ballata che rimarrà nella storia. Senza accorgersi di aver centrato l'obiettivo al primo colpo, con la divina “Stand Inside Your Love”

"i will breathe,
for the both of us..
travel the world,
traverse the skies..
your home is here
within my heart"...

e la dolcezza mai rasenta la banalità o la debolezza, diventa un nevromanticismo disperato da brividi, sublimato dal solo con Ebow di quel grandissimo chitarrista di James Iha, sempre emozionale nei suoi inserti, e vera ruota dentata dei marchingegni di Billy, che non potrà mai seppellirne il ricordo nemmeno con una folla di turnisti.
Oltretutto questo album partorisce gli ultimi veri riff Zuccati. “Heavy Metal Machine” nella sua ossessività ( complice anche una velata polemica di Billy verso il genere musicale in se, che gli appariva oramai ripetitivo ) e la ferocia espressa nella nichilista “The Everlasting Gaze”che tanto ricordava , brandelli sanguinolenti di infinite tristezze passate.

You know I'm not dead
I'm just living for myself
Forever waiting

Comparsi in quel video, pronti a dir la loro e poi spaccare tutto in pieno stile rock and roll, ma D'arcy era già andata via. Divorzio consumato a fine di queste registrazioni, mostrava gli squilibri tra i membri della band, nelle scelte musicali in se .Basti notare i due Machina come suonino diversi tra loro, questo dal suono maggiormente compresso e addomesticato, il secondo da l'impressione letteralmente di bucare lo stereo, la vera strada in fin dei conti sarebbe stata quella di riunirne artisticamente il meglio, bilanciandone la produzione, per farne un altro capolavoro, ma qui nell'accontentarsi, si gode davvero. Nel riscoprirlo, anche il doppio e nel Doppio.

Gidan Razorblade

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martedì 17 febbraio 2009

Smashing Pumpkins - Adore, (1998)


Anno: 1998
Etichetta: Virgin Records

Line Up:
Billy Corgan - voce e chitarra
James Iha - chitarra
D'arcy Wretzky - basso e voce


Tracklist:
1. To Sheila (Corgan) - 4:46
2. Ava adore (Corgan) - 4:20
3. Perfect (Corgan) - 3:23
4. Daphne descends (Corgan) - 4:38
5. Once Upon a Time (Corgan) - 4:06
6. Tear (Corgan) - 5:52
7. Crestfallen (Corgan) - 4:09
8. Appels + Oranjes (Corgan) - 3:34
9. Pug (Corgan) - 4:46
10. The Tale of Dust and Pistol Pete (Corgan) - 4:33
11. Annie-dog (Corgan) - 3:36
12. Shame (Corgan) - 6:37
13. Behold! The Night Mare (Corgan) - 5:12
14. For Martha (Corgan) - 8:17
15. Blank Page (Corgan) - 4:51
16. 17 (Corgan) - 0:17


È la sindrome degli anni 90’ , decennio dell’esplosione dell’Mtv generation , dell’underground in rivincita , del successo che logora quanto l’attesa dopo un capolavoro. La legge sulla difficoltà del secondo disco dovrebbe estendersi alla postilla del Materpiece Mainstream difficile da ripetere agli occhi della critica. Adore fa parte delle Perle troppo spesso valutate frettolosamente da iridi accecati dai propri ragionamenti limitati. Tre anni, la morte del tastierista sessionman, la cacciata di Jimmy e gli eccessi amalgamati tra incomprensioni. Il cofanetto sfama i fans dagli appetiti più fini, meno la massa, che vuole cibarsi della furia di chi si sente un topo in gabbia.
Ma in questi mesi è possibile pretendere che la mente umana si possa emotivamente cristallizare? Il malcontento e l’insoddisfazione, non pretendono la sola via dello sfogo, ma il chiarimento e l’introspezione son chiavi più pesanti ma appaganti da prender tra le dita. E Billy ha avuto il tempo di allere i muscoli della propria anima per sollevarle. Partendo quasi dalla fine , evidenziamo la splendida “for martha” come firma e culmine del discorso. La struggente ballata in climax culminante in solo (uno dei pochi) e il frutto del riavvicinamento tra il frontman e sua madre. Raggiunta quasi sul letto di morte, ritrovarla affettivamente, è un arricchimento che allevierà il futuro lutto.

“twilight fades
through blistered avalon
the sky's cruel torch
on arching autobahn
into the uncertain divine”

Incastonato nell’intro, mostra il legame con le origini, la penna della zucca continua a respirare arte, raffinata dal faro incendiario della violenza, si veste di beltà a tratti gotica, piena di metafore letterarie quasi ottocentesche. Tasti bianchi e neri circondano il paesaggio, portando via fuzz e distorisioni. Birichini confezionano la dolcezza melanconica come nel caso di “once upon a time”

“Tuesdays come and gone
restless i still drive
try to leave it all behind
Fallin', fallin' out of sleep”

Con un riferimento ancora alla genitrice e al tentativo di rendersi più consapevoli, la luce spavalda s è attenuata ,non acceca, ammalia. Per quanto inganni la marziale “ava adore” posta come singolo , ne è l episodio, non il manifesto della band. Che con i synt non vuol certo avvicinarsi all’industrial. Ma sperimentare in assenza di batterista in lineup (Matt Walker,Cameron e Joey Waronker saranno le guests) , come in “appels + oranjes” . L’urlo da spazio alla melodia, ricordando il lato più intimo del precursore , "Crestfallen" trasforma i tasti di plastica in un morbido fazzoletto di seta , col quale asciugarsi e ricominciare, o celebrare addii

“who am I to need you when I'm down?
where are you when I need you around?
your life is not your own
and all I ask you
is for another chance
another way around you”

“"Tear" appunto, una lacrima che scende mentre il disco gira, continuamente, come camminasse, come vivesse. Eseguendo questo e altri omaggi alla New Wave (archi dei The Cure periodo The Top in primis ) , l’intercedere tenebroso di “pug” nella sua elettronica e tributo a Gary Numan, ritornello pacato, nascondendo i suoi significati…

“inside where it's warm
wrap myself in you
outside where I'm torn
fight myself in two
in two
into you
desire me so deeply
drain and kick me hard
whisper secrets for me”

anche “Behold! The night mare” resta su lidi Depeche Mode e “Daphne descends” avanza nella foschia , sicuramente i brani saranno nati in veste semiacustica per poi essere rivestiti di una patina freddamente calda dei synt, certi poi ha preferito vivere nell'essenzialità di due accordi di piano (“Annie-dog” in blueseggiante melanconia ) l' amaro "The Tale of Dusty and Pistol Pete" un folk amaro e suburbano, fatto di intrecciate vie, cori di amanti che si inseguono disastrosamente attraverso i cieli divenuti oramai catacombe di "Mellon Collie". Uno spiraglio di ermetico ottimismo si erge solo in “Perfect” , sempre musicalmente parlando

“We are reasons so unreal
We can't help but feel
that something has been lost “

Il mood del disco è oramai svelato, coraggioso sicuramente, a tal punto che Billy meditava un uscita solista per questa Release, ma i restanti due membri della band il loro compito lo fanno egregiamente , nell' ombra partecipano , “Shame” ne dimostra l'efficacia. Dunque eccoli lì a mentre fingere (illudersi?) di esser bimbi celati dietro agli alberi, e cullati dai fantasmi. “Blank page” appunto, come la seconda pagina di un libro, se avete note, imprimetele voi , l'interpretazione è forse la più libera di tutto il disco e forse dell'intera discografia .
"Adore" rappresenta il non-luogo della maturità umana, l' abbandono visto in chiave universale:

-dell'infanzia/adolescenza
-dell'Amore/Legami
- del passato/convinzioni

gli anni che portano tra le dita la consapevolezza e il dono di infiniti ricordi che rifanno capolino a turno nella propria coscienza, da mostrar fierezza, rimpianti e freddezza alla alla loro visita.
Ragionateci su più di quei 17 secondi che vi restituiranno il Presente davanti agli occhi. Poi fermatevi, e pronunciate il titolo del disco. Che altra parola vi viene in mente?
Varcatela.

Gidan Razorblade


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