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venerdì 3 aprile 2009

Black Sabbath - Sabotage (1975)


Anno: 1975

Tracklist:
Hole In The Sky
Don't Start (Too Late)
Symptom of the Universe
Megalomania
The Thrill of it All
Supertzar
Am I Going Insane (Radio)
The Writ/Blow on a Jug

Sabotage è un album contraddittorio, mosso da spinte opposte e divergenti. Sabbath Bloody Sabbath rappresenta la massima espansione artistica dei Black Sabbath, e il suo seguito in parte prova a proseguire l'esperimento incominciato, in un certo senso estremizzandolo (Megalomania) o provando a riassumere le diverse anime di Sabbath Bloody Sabbath in pezzi singoli (Symptom Of The Universe), in altri pezzi pecca di troppa orecchiabilità e di totale asservimento al dictat del progressive imperante, Am I Going Insane (Radio) (uno dei peggiori brani dei Sabbath) è orientato sui sintetizzatori più di qualsiasi cosa presente sull'album precedente, ma svilito su una forma ripetitiva e stancamente radiofonica, troppo poco ardito per essere un atto di rottura verso le tensioni delle case discografiche, più che altro segno di un gruppo che ormai non voleva fare più paura a nessuno. I tempi di Master Of Reality sono lontanissimi in tutti i sensi, forse questa è già un'altra band, ormai completamente sbilanciata, tutta su Iommi, e ormai corrosa da divergenze che porteranno alla crisi e a un interminabile era di instabilità della line up, fino al colpo di mano di Iommi. Ozzy lamentava l'aver perso l'immediatezza di un tempo e la pesantezza del lavoro di produzione in studio, e con esso, naturalmente, questi suoni, che non conoscono vie di mezzo e vengono fuori o patinati e schematici (Am I Going Insane e l'imbarazzante scontatezza di Hole In The Sky) o ricadono nell'estremo opposto (vedasi le due quasi-suite Megalomania, oltre dieci minuti, e The Writ, oltre otto minuti a parte l'inutilissima ghost track di 20 secondi di parodia registrata a bassissimo volume).

Emblema delle contraddizioni di Sabotage è l'ottimo dualismo di Symptom Of The Universe, per metà abbondantemente heavy metal (se non quasi thrash), con un Ward dinamico e calato nella canzone nei paranoici esordi, uno Iommi a dir poco onnipresente, capace di fare tutto, con un lavoraccio di riffing che è la fine del mondo, uno degli assoli più belli di questa fase, bello freddo, e poi immenso nella seconda parte del pezzo, tutta acustica, quasi un momento a se, opposto al primo, un divertimento per il baffuto chitarrista, che inizia a scoprirsi cultore del virtuosismo, affascinato dal flamenco e dal progressive, e ora autore di un lungo passaggio acustico emozionante e ben contrapposto alla freddissima introduzione heavy.
Questo dualismo, e questa doppia anima di Sabotage, si esprime in un album che va costantemente in due direzioni diverse, sfidando la banalità con l'intermezzo medievale da autorecicaggio (il minuto scarso di Don't Start Too Late), e il secondo intermezzo anche esso medievaleggiante che si avvale pure di un superarrangiatore, Will Malone che dirige l'English Chamber Choir in un canto gregoriano per la prima volta inserito in un pezzo hard rock (Superztar, una noia mortale).
Sul fronte opposto The Writ è un esperimento horror ben riuscito (pur sempre mero intrattenimento rispetto agli esordi), una lunga e variopinta commistione tra belle line melodiche e qualche bella idea (specie le nuances acustiche sul finale) per inscenare un clima inquietante e tetro, qualche piccolo effetto speciale per renderla più ambient possibile (almeno per i canoni hard rock - prog dell'epoca), estroversa e scenografica come un musical, conia una nuova forma espressiva dei Black Sabbath, che ritroviamo in Megalomania, un altro pezzo molto lungo e visionario, strutturato come una suite progressive ma "pop" come uno spettacolino teatrale, con un bel pianoforte che interviene per il cambio di scena, tutto ovviamente trainato dal regista Tony Iommi, una vera e propria fabbrica di idee, e poi ancora coretti e refrain che si impromono facilmente, quasi da show televisivo, per un Ozzy sempre più graffiante e padrone delle scene più che curato nelle sue prestazioni, comunque mediamente più elevate tecnicamente. Ovviamente, come ci si aspetta, poi c'è un finale in grande stile, tutto come previsto, tutto un ricamo ultrabarocco per un gruppo che è nasce e muore come l'esatto opposto del barocchismo, e quindi il risultato va un po preso per quello che è, un esperimento, una bella canzone, ma nulla che lascia il segno.
Diverso è il discorso per Thrill Of It All, che trova la sua bellezza nel suo essere perfettamente a la Sabbath Bloody Sabbath: molto tecnica, melodia sinuosa, chitarra avvolgente e che si muove a spirale, tanti momenti solisti emozionanti, sintetizzatori nella giusta musura, epica e pathos, progressione e cambi di ritmo nel momento più toccante, tutti fanno il massimo, tutti si distinguono, con stile e raffinatezza, tutto nelle giuste musure. Piccola parentesi equilibrata e intelligente in un album dilaniato dai contrasti.

John

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