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lunedì 16 marzo 2009

Black Sabbath - Black Sabbath (1970)





Anno: 1969

Etichetta: Vertigo/ Warner Bros


Si contano sulle dita di una mano gli album influenti e seminali come l’esordio dei
Black Sabbath: tutta la musica del dopo-Sabbath ha dovuto fare i conti con una scena ormai diversa, rivoltata dal suo interno, dove il blues ormai veniva fuori a pezzi, completamente rivisto, anche oltre l’estremizzazione già praticata da Cream, Blue Cheer e Yardbirds, veniva fuori privo di qualsiasi contenuto hippy o intellettuale, per la prima volta la musica nera suonata dai bianchi, diventa ancora più nera, ossia cimiteriale, oscura, come quelle campane a morte che aprono il disco e con esse l’epopea mortuaria dei Black Sabbath, ossia il preludio di tutto l’hard&heavy come è inteso oggi. Solidificazione dei riffs, celebrazione della ripetizione ossessiva e del ripiegamento in strutture fisse, immobili, e l’essoterismo che diventa tema portante, per una musica cattiva e distruttiva come mai era successo prima, monolitica, luciferina e sottilmente maligna quando è leggera, e catastrofica e sulfurea quando la mano si fa pesante, ma in tutto questo, per nulla al mondo il suono diventa banale o scontato, in ogni pezzo c’è sempre qualcosa che sfugge, c’è sempre un mistero da scoprire o da approfondire, e non è possibile abbracciare e comprendere pienamente il grande mistero ed il trauma creato da questo disco, quindi ogni pezzo è come fatto a brandelli, residui di immaginario horror vampiresco messi insieme come pezzi del corpo di Frankenstein, per questo la coesione è ciò che manca nell’esordio dei Sabbath, ancora quasi ingenuo e inconsapevole della portata cataclismatica della sua discesa sul pianeta Terra, quel venerdì 13 febbraio del 1970.
Tony Iommi si rivela una autentica fabbrica di riffs malefici, musiche che sembrano venire da lontano, e destinate a durare in eterno, come l’introduttiva “Black Sabbath”, o come il folk blues anomalo di “The Wizard”, o la cantilenante “N.I.B.”, i suoi solos sono indimenticabili, pezzi di storia e fonti di continua ispirazione, primitivi, selvaggi e spaventosi nel loro aggrovigliarsi come serpenti in una fossa nera, sezionano e sbranano le canzoni, dilatandole e creando code che non si fanno problemi a sferrare colpi pericolosissimi, sotto la direzione di un John Michael “Ozzy” Osbourne dedito alla recitazione e alla declamazione più che al canto, nel vero senso del termine, e ve ne è prova ovunque, perché per la prima volta il cantante non è più tale e non è nemmeno un cantastorie blues, è il guru di una setta, che sibila messaggi oscuri, come nella sinistra “Sleeping Village”, una delle tante palestre per gli abili tessitori di ritmi, Bill Ward, il batterista con la fissa del jazz (vedi “The Warning”, dove Iommi solista poi divaga nella sua migliore prestazione del disco) ed il bassista appassionato di satanismo Terrence Micheal Butler, fautore di mitiche atmosfere tetre che saranno il filo conduttore di brani piuttosto diversi e divisi in parti unificate spesso dal suo moto ondulatorio e sussultorio.
BLACK SABBATH --- si sente la pioggia scrosciare in lontananza, l’oscurità avvolge tutta la natura, gli alberi sono fagocitati in una prigione fossile, incomincia il lento camino del Sabba nero, sottolineato dall’andatura cadenzata di Iommi alla chitarra e di Ozzy che si trascina, come una marcia, tutta pesante e morente, fino all’esplosione nel finale, quando il brano accelera ed esplode in una serie di rintocchi mortuari che conducono all’invettiva elettrica solista che conduce direttamente al termine del pezzo. Il testo non è altro che la sintesi estrema della filosofia sabbatthiana: una figura misteriosa si avvicina, chi la guarda non capisce, non si capacita di quello che sta succedendo, è come un incubo, quella figura misteriosa è dietro l'angolo, e il malcapitato sa che sta per fare una brutta fine, invoca Dio, e sa che sta per essere fatto a pezzi. è l'inizio di questa malvagità nei testi rock. Niente ideali, solo sensazioni, paure, il più grosso messaggio che c'è da dare è un messaggio d'aiuto, che naturalmente non sarà ascoltato. Il fuoco brucia negli occhi dell'assassino e già si vede l'inferno che avanza.
THE WIZARD --- Ozzie suona l’armonica in quello che sembra il pezzo meno in linea con la carriera futura dei Black Sabbath, ma contiene l’essenza e la varietà della proposta sonora di questo primo album, ancora impostato come una derivazione del blues, infatti questo pezzo non è altro che il pezzo blues più nevrotico e depravato che sia mai stato scritto, ritmica jazzata, e chitarra che sembra un insetto in volo, come naturalmente molti dopo proveranno a rifare. Il testo è tutto descrittivo, coglie la scena, la sviscera, prima analizzando l'atmosfera, descritta come una mattina nebbiosa, nuvole nel cielo; poi si passa alla descrizione di una figura misteriosa ma positiva, silente, quasi mimetica, vestita in modo strano, come se venisse da un'altra dimensione o da un'altra epoca. Ed ecco il tema del medioevo e del gotico, che saranno abbondantemente ripresi in futuro, non solo dai Black Sabbath, inutile ribadirlo.
BEHIND THE WALL OF SLEEP --- ritmo sincopato, è il treno che avanza, e fischia tra le corde di Iommi, sempre distorto e solenne, in questo breve quadro di distruzione e nichilismo. Il contenuto è quanto di più terrificante ci possa essere, e quel "treno" che avanza, non è altro che la morte, una specie di metafora musicale dell'olocausto. Si parla puramente e semplicemente della natura che muore. Il sole freddo. I petali cadono, le gambe iniziano a cedere, e lentamente ci si accascia, si diventa simili alla natura ferma e inerte.
N.I.B. --- sormontata da una introduzione isolata dal pezzo, tutta di basso, con un Butler viscido che sembra suonare come un calderone da strega in ebollizione; poi arriva uno dei riffs più famosi e abusati della storia, ad opera dell’instancabile Iommy, sbalordisce in tutte le vesti, sia da riffmaker sia quando si abbandona in solismi che vogliono ricordare sia certe zone oscure del medioevo sia qualcosa di orientaleggiante, ma non per una questione di esotismo, solo per creare e confermare quell’alone di mistero che avvolge ogni singolo pezzo, che resta una area grigia, fitta di suoni a volte saturi, anche grazie ad un Ward presentissimo e variopinto, che adopera modalità e stili diversi di brano in brano, e grazie al gran cerimoniere Ozzy, che della sua voce ha fatto bandiera in diverse scuole e filoni del rock pesante e del metal, quel suo timbro è inconfondibile ed è stato un punto di riferimento per intere generazioni di cantanti, e lo è ancora, perché è inesauribile la sua portata e la sua ispirazione. Ozzy è dotato ma non è poi così tecnico, non ha la smania del bel canto, ha l’urgenza della resa il più possibile anomala e deviata di ogni brano, che deve essere per forza una tappa dovuta di un percorso di purificazione interiore fatto al contrario, ossia che man mano logora e sporca l’anima, fino alla totale perdizione. Ipnotico, spirituale, metafisico, il suono dei Black Sabbath deve tantissimo alla voce di Ozzie, e in questo primo album non c’è momento in cui le due cose non siano intimamente legate, perché persino le pause ed i silenzi mettono paura addosso a chi ascolta, persino quando non vedi la morte e la distruzione, questa si fa sentire, perché sai che è quello il tuo destino. Questo è il messaggio ultimo dei Black Sabbath e forse di tutto il DOOM: l’ineluttabilità del senso della morte, e tutto ciò che ne deriva: dal terrore e dal senso di precarietà e di perentorietà della realtà naturale e umana, al mistero della trascendenza in tutte le sue forme e interpretazioni di volta in volta assunte.
EVIL WOMAN --- è una cover dei Cow che anticipa il disco, che doveva servire per rompere il ghiaccio ed aprire le charts ai Black Sabbath, scelta evidentemente per il testo e per la sua facile presa sulle masse, visto che comunque si trattava di un brano famoso e facilmente coverizzabile, come andava di moda in quegli anni, anche se in questo caso non c’è un gran lavoro interpretativo della band (infatti il pezzo era e resta un corpo estraneo rispetto al disco), salvo il sempre più rilevante e imprescindibile Boiler, sapiente costruttore e interprete di atmosfere anche molto diverse.
SLEEPING VILLAGE --- funge da introduzione al pezzo successivo, ma vive di una sua propria personalità, neanche poi tanto semplice, visto che si tratta comunque di un pezzo ben articolato e secondo me uno dei più interessanti, che mi ha sempre affascinato per l’alternarsi di momenti freddi e solenni, più vicini al cinema che alla musica. Tutto inizia con uno scacciapensieri e un arpeggio da brivido, poi inizia la fase recitativa, pochi versi, quattro frasi secche e spietate, poi inizia a prendere forma l’ennesimo rigonfiamento elettrico, con un andamento quasi progressive, tutto in pochissimi minuti di alti e bassi dove ogni strumento irrompe come un assassino che coglie alle spalle la sua vittima.
WARNING --- dal pezzo precedente scivola via Butler con un giro di basso avvolgente, e che sostiene tutto un lungo pezzo a struttura piuttosto aperta, dove la canzone si perde nel vuoto, nelle pause, negli stacchi, nelle riprese, nelle segmentazioni ritmiche, ora praticamente libere e già un passo oltre le “regole” create solo qualche brano sopra, le atmosfere si sedimentano lentamente, poi tutto cresce in scene successive, dove il jazz si mischia col blues ed il metallo si fa sempre più minimale e la pesantezza è tutta pensata e psicologica più che espressa esplicitamente; in tutto questo ogni singolo musicista segue la sua strada, vive il suo protagonismo a modo suo eppure è in grado di mettersi al servizio della band, e lasciare spazio agli altri; ancora una volta il silenzio vale tantissimo, almeno quanto questa musica sublime, che difficilmente è capace di arrivare a questi livelli. Inutile provare a descrivere ciò che non si può riassumere a parole, un brano unico, la sintesi dell’improvvisazione nel rock, una piccola enciclopedia sia della musica pesante, sia della musica sperimentale sia della musica d’atmosfera, in cui c’è contemporaneamente il seme del doom, ma anche il seme del superamento stesso del doom, c’è praticamente tutta una serie di evoluzioni e conquiste che saranno sudate disco dopo disco nella storia della musica che verrà.
WICKED WORLD --- ancora un pezzo strisciante che salta e impressiona come un rettile, ipnotico, parzialmente ripetitivo, tanto per ribadire il concetto, creare l’atmosfera, distorto, poi sempre più dissonante, fino a un intermezzo sperimentale, psichedelico che si disperde nel silenzio di un attimo che precede il mastodontico assolo di Iommi. Ora ci sono due osservazioni da fare: in questi pochissimi istanti c’è già tutto, perché c’è il rock e c’è già qualche soluzione anche abusata da gruppi post rock, c’è la musica pesante e grezza ma pure la psichedelia, e se ci pensiamo, l’assolo non è neanche così complesso o particolare da essere ricordato per meriti squisitamente tecnici, ma gode di un elemento fondamentale, ossia il tempismo, cade al modo giusto e al momento giusto, dopo quel brevissimo momento di silenzio in cui succede praticamente di tutto, nella mente del poveretto che ascolta. Stare a citare quanti movimenti musicali negli ultimi 40 anni hanno attinto da queste intuizioni e da queste tecniche, nonché da questo atteggiamento, è una relativa perdita di tempo, semplicemente perché basta ascoltare, non c’è nulla in questo disco che non abbia offerto occasioni di sviluppo successivo. La canzone concretizza il terrore e gli conferisce una dimensione storica concreta, in opposizione alle astrazioni viste prima: The world today is such a wicked place
Fighting going on between the human race
People got to work just to earn their bread
While people just across the sea
Are counting their dead

A politician's job they say is very high
'Cos he has to choose who's got to go and die
They can put a man on the moon quite easy
While people here on earth are dying of old diseases

A woman goes to work every day after day
She just goes to work just to earn her pay
Child sitting crying by a life that's harder
He doesn't even know who is his father


Nell'album c’è l’idea di una natura risucchiata, nata morta, uccelli che non emettono suoni, conigli falciati dalle trappole, cigni neri in uno stagno che è più che altro una fossa, la foschia che si fa sempre più ampia e avvolgente, città sprofondate nel grigiore e già diventate relitti, la civiltà che si rende conto di essere in un vicolo cieco. E a vegliare su tutto questo ci sono delle figure ambigue quanto sinistre come la statua decapitata di un martire. È l’inizio di una lunga notte…




John

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