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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: R.E.M. - Green (1988)

martedì 3 febbraio 2009

R.E.M. - Green (1988)


Anno: 1988
Etichetta: Warner Bros

Line Up:
Michael Stipe – voce
Peter Buck – chitarra
Mike Mills – basso
Bill Berry – batteria

Tracklist:
1. Pop Song 89
2. Get Up
3. You Are The Everthing
4. Stand
5. World Leader Pretend
6. The Wrong Child
7. Orange Crush
8. Turn You Inside-Out
9. Hairshirt
10. I Remember California
11. Bonus Track*
*canzone senza titolo suonata a strumentazione invertita.

Una boccata d'aria fresca.
Così potrei descriverlo senza pensare di essere poco esaustivo, visto che per me si tratta proprio di questo: un album aeriforme, infatti ascoltandolo sembra quasi di sentire una brezza che ti smuove i vestiti di dosso, che rinfresca dal torpore di questo caldo fastidiosissimo e dal torpore di un momento di immobilismo-paralisi sentimentale/esistenziale/sociale/echinehapiùnemetta condita da quella solitudine che non manca mai, ma che in questo periodo estivo è leggermente più pesante.
Finora ero stato più attratto dal suono metafisico di Murmur e da quello più distorto di Monster, ma probabilmente mi ero lasciato sfuggire sotto il naso l'album più delicato, tenue e inebriante dei rem, senza arrivare alla emozionalità ipertrofica di Out Of Time / Automatic...
Green è l'approdo degli rem su major, una versione slavata, limpida e rifinita (pur nel suo essere iper sobrio /schematico a volte quasi abbozzato) di Document, ossia una bella dose di folk rock fatto transitare in un mondo sotterraneo in cui scorrono ancora vivissime le esperienze indie undergorund anni 80 americane, dai Ramones ai Replacements a tutto il resto, quello che poi esploderà nella piccola rivoluzione "alternativa" dei 90. Dopo il passaggio "indie" la musica degli rem riemerge come una specie di semplice e rudimentale pasticcio di sonorità diverse, sensibilità diverse, dal blueseggiante al punkeggiante, tutto naturalmente narcotizzato in quella sottilissima e vibrante atmosfera che riescono a riprodurre solo gli rem, che è poi il loro marchio di fabbrica, tutto unito all'insegna della genuinità e della naturalezza (l'elemento naturale è richiamato sin dalla copertina, fino ai testi dei brani a volte dediti all'ecologia a volte tesi ad esprimere un certo sentimento naturalistico-spiritualistico).
Il passaggio sotto major si fa sentire tutte le volte che il sound freddo-scarno-ipnotico cede il passo a sonorità meno oscure, certamente più "pop", musica leggera appunto, anche se contiene in ogni sua fibra delle reminiscenze che vanno dai Byrds fino agli Stranglers, dai Led Zeppelin ai Buzzcocks.

Non mi voglio dilungare nel dire CHI sono gli R.E.M. e che musica fanno, innanzitutto, perchè sono così famosi che sarei solo ridondante nel dare una loro descrizione generale. Preferisco incollare una introduzione alla band scritta da una persona molto vicina alla band, che ha condiviso con loro una delle stagioni musicali più interessanti della storia, un amico e compagno di battaglie politiche:

la musica dei REM è veramente onnicomprensiva. Hanno usato ogni colore sulla tavolozza, hanno inventato dei colori propri, hanno dipinto questo enorme murale di musica e suono ed emozione, grandi come degli edifici [...]
E, come si può spiegare il dialogo tra Michael e l'ascoltatore - un dialogo che è cresciuto nel tempo e con cui noi siamo cresciuti? Uh, c'è tanta saggezza nei sentimenti in queste canzoni che, penso, ci hanno aiutati a trovare cose che sapevamo di avere dentro di noi, e penso che ci abbiano aiutati anche a trovare cose che non sapevamo di avere dentro di noi. E posso dire che ci sono cose che tengo e sento molto profondamente qui dentro che sono state messe lì proprio da Michael Stipe. La cosa davvero incredibile, a questo riguardo, è che mentre succede questo... tutto questo succede senza che uno sia in grado di capire nemmeno una cazzo di parola di quello che lui dice… questo nei primi dischi ed è, era… è una cosa così bella ed è così aperto all'interpretazione tutto ciò [...] lui è un vero poeta: può essere diretto, può essere completamente astratto, può suscitare un' emozione con precisissima accuratezza e può essere completamente obliquo e tutto viene compreso.
Peter Buck suona la chitarra come uno che ha lavorato in un negozio di dischi e quando dico questo, dico che tutto il suo modo di suonare la chitarra non è necessariamente derivativo di tutta questa musica che conosce. E' che conosce la sua musica così bene, che è più un suonare attraverso i buchi e inventare cose e toccare punti ancora da coprire e di conseguenza, credo, spingere il progresso dei Rock and Roll. Penso a lui...e a quello a cui ha contribuito, aprendo una strada per la musica alternativa per gruppi come i Nirvana e i Radiohead e da qui all'infinito.
(Eddie Vedder, 12/03/2007, discorso tenutosi alla Waldorf Astoria Hotel, New York, per l'introduzione degli REM alla Hall Of Fame)

Green è l'album della svolta commerciale, è l'album del compromesso, dell'inizio dell'imborghesimento (direbbero i soliti moralisti) ma anche l'album della denuncia ambientalista (l'album VERDE, appunto), ancora documentata con veemenza, a volte con sarcasmo, o con toccante malinconia (in linea con gli episodi precedenti, ma forse anche in modo più esplicito).
Pop Song 89 è la canzone pop perfetta, non c'è altro da dire a livello stilistico: refrain indelebile, ritmo squadrato, intermezzi psycho-surf molto retrò. Il testo è una botta di autoironia che verte proprio sul fatto che la band si stava lanciando alla scalata della classifica, insomma, una presa per culo della hit pop.
Si gioca proprio sulla fama:
Ciao, ti ho visto, ti riconosco, ti conoscevo già
Penso di riuscire a ricordare il tuo nome
Ma anche sul rapporto del testo con l'impegno sociale:
Dobbiamo parlare del tempo?
Dobbiamo parlare del governo?
Questi 2 versi secondo me sono una presa per culo galattica a chi si aspetta qualcosa da una band, pronta magari a giudicare chi si "vende" alla major. come dire: "cosa ti aspetti da noi? di cosa dovremmo parlare? di cazzate senza impegno? di politica?".
Get Up è un'altra genialata pop, tra coretti, handclappind, un po beatles, un po folk, con tanto di bridge simpatico come di consueto nelle marcette degli rem. Naturalmente questo è solo l'involucro, la sostanza è un brano che incita all'attivismo:
Sleep delays my life... GET UP GET UP
uno dei versi-chiave dell'album, il sonno che dilata la vita..
Poi ancora:
Dormi, dormi, dormiglione
alzati, alzati
Sveglia
alzati, alzati
Hai tutta la vita davanti a te
alzati, alzati
I sogni complicano la mia vita , i sogni completano la mia vita
altro verso chiave:
Dreams they complicate my life , Dreams they complement my life
Esiste una vita comoda, appartata, semplice... poi c'è una alternativa... che è appunto ciò a cui punta il pezzo.
This time, no escape, I wake up
Questa volta niente fughe, mi sveglio. bellissimo, no? mi ricorda tanto Escape is never, the safest path , verso tratto da "Dissident"(appunto, dissidente) scritta proprio dal già citato Eddie Vedder, che nel discorso riportato sopra farà anche riferimento nel finale all'impegno sociale degli rem e alla lezione di attivismo musicale data a tutti, proprio in un momento storico in cui la musica rischiava di subire un doloroso distacco dalla realtà.
You Are Everything è una delle 2 o 3 perle del disco, una meravigliosa power ballad country rock percorsa da una tensione emotiva notevole, che scorre tutta d'un fiato, qualcosa che somiglia più alla composizione elegiaca o alla preghiera a un dio-tutto (il sottofondo "boschivo" è un indizio di questo elemento "panico"-boschivo e "panteistico", you are everything appunto). Decoro di piano, fisarmonica, e quel tocco di mandolino che impreziosisce tutto ("Loosing My Religion" era già nell'aria).
Ecco come inizia il brano:
A volte sento di non poter cantare... La LUCE
se non è una preghiera questa...
da notare il motivo ambientalistico quindi etico e politico; ma anche spirituale, sotto un altro profilo... e perchè no, anche amoroso... visto che come ci insegna Eddie, nella sua guida ai testi dei rem, si tratta di parole liberamente interpretabili, che in questo caso, se riferite alla persona amata, non possono che essere ancora più belle e... magiche.
Torna l'ambientalismo:
Ho realmente paura di questo mondo
Ho realmente paura per me
e la bidimensionalità del problema, perchè il mondo non è mai slegato dal singolo soggetto, che finisce dunque, alla fine con l'identificarsi nel tutto(...everything...).
Bella l'atmosfera di pace ricreata nella narrazione:
Senti il suono del viaggio e del motore
Tutto ciò che senti è il tempo sospeso nel viaggio
E senti una pace assoluta
Una calma sospesa che non ha una fine
Ma lentamente scivola nel sonno
Le stelle sono la cosa più grande che hai mai visto
E loro sono lassù per te
Per te solo, tu sei il tutto
Poi emerge in tutto il suo splendore il tema amoroso, nel finale, con dei versi tra i più belli di sempre, scritti a questo proposito:
E lei è magnifica
Lei è così giovane e vecchia
Io guardo lei e vedo la bellezza
Della luce della musica
Le voci parlano da qualche parte nella casa
Primavera inoltrata e sei troppo stanca per dormire
Con i tuoi denti in bocca
Tu sei qui con me
Tu sei stato qui e tu sei tutto
La stessa atmosfera e lo stesso stile lo troviamo in Hairshirt che probabilmente è l'unico pezzo privo di una propria identità stilistica e tematica, un inno alla vita costruito con poche immagini che si rivolgono alla personale interpretazione di chi ascolta.
Stand musicalmente riprende quanto visto con "Pop Song" e "Get Up", solo che qua c'è un marcato tocco hendrixiano, con quel delicatissimo assolo ben piazzato al posto giusto ed al momento giusto, tutto wah-wah, che crea la giusta variatio in un album che senza questi piccoli particolari sarebbe fintroppo omogeneo, e che effettivamente, a un ascolto superficiale non può che sembrare monocorde, ma chiaramente bisogna andare nel profondo delle cose per capirle; ed è questo l'invito del brano: andare nel profondo, capire il posto dove ci si trova, orientarsi. La metafora dell'orientamento e dei punti cardinali è utilizzata per dare l'idea di un soggetto che è portato a capire i fatti che lo circondano, e ad interagire col mondo, sempre riprendendo quel tema già visto, dell'attivismo, e in modo sempre raffinato e certamente non sloganistico.
Stand in the place where you are
World Leader Pretend è il pezzo più bello del lotto, vicino alla poetica di "You Are Everything", territori più folk-blues dalle parti dei Led Zeppelin più sperimentali, stupefacenti le sfumature di steel guitar e piano, il drumming che si fa nervoso e tendente al rumore sordo o pennellato, come il vento che si scontra con balle di fieno, ed il controcanto di Mike Mills (bassista, pianista e, come definito da Eddie, secondo cantante solista) che fa sempre la differenza, riempiendo i vuoti delle impennate quasi da preghiera-rituale del cantato di Stipe, che in quest'album è sublime, e acerbo quanto basta. Il brano parla della "conversione" di un capo di stato, o un signore della guerra di Dylaniana memoria, che quasi Manzonianamente riflette sul suo passato e decide di riparare ai suoi errori:
Siedo alla mia tavola e ingaggio una battaglia con me stesso
Sembra che tutto, tutto sia per niente
Io conosco le barricate
E riconosco i colpi di mortaio sui muri
Riconosco le armi, le ho usate anch’io
Questo è il mio errore. Lasciatemelo riparare
Ho scalato il muro, e sarò quello che lo butterà giù
Ho una ottima conoscenza delle mie migliori difese
Io dichiaro che le rivendicazioni sono rimaste lettera morta
Io esigo un nuovo scontro
Io decreto una situazione di stallo
Io indovino le mie motivazioni più profonde
Io riconosco le armi
Le ho messe tutte alla prova. Le ho messe a punto io stesso.
È incredibile con quanti artifici puoi simpatizzare , entrare in empatia
Questo è il mio errore. Lasciatemelo riparare
Io ho costruito i muri, e io sarò quello che li butterà giù
Vienimi incontro e stringimi forte. Serba questo ricordo
Lascia che la mia macchina mi parli.
Questo è il mio mondo
E io sono un presunto leader mondiale
Questa è la mia vita
E questo è il mio tempo
Mi è stata data la libertà
Di fare quello che ritengo giusto
È giunto il tempo di demolire I muri
That I've constructed
Che ho costruito
È incredibile con quanti artifici puoi simpatizzare, entrare in empatia
Questo è il mio errore. Lasciatemelo riparare
Io ho costruito i muri, e io sarò quello che li butterà giù
Tu sostituisci il mortaio. Tu sostituisci l’armonia
Tu sostituisci il mortaio. Io ho alzato i muri.
E io sono il solo
Io sarò il solo a buttarli giù
The Wrong Child è un piccolo affresco di arpeggi di chitarra, ricami di violino, canto e controcanto in stile Simon & Garfunkel, tutto suonato in punta di piedi, un suono crepuscolare ma anche cristallino. Il brano è abbastanza criptico, il tema è quello del "venire fuori", e il rapporto tra bambino e la società, ma è facile immaginare che quella del bambino triste che non gioca con gli altri sia solo una metafora dell'esistenza umana, condotta in modo appartato e dell'avvenimento che sconvolge la vita, cambia le prospettive, e fa entrare la storia tra capo e collo, fino a rendere ormai inevitabile la scelta (e quindi la vita vera, che appunto è fatta di scelte, just go outside).
Orange Crush parla dell'Agent Orange, la sostanza tossica usata in Vietnam dall'esercito statunitense; e suona un po come Neil Young & Crazy Horse di quei tempi, con quelle invettive corali, quella chirarra rude e assordante, e testi che sputano addosso a chi ascolta una scomoda verità.
Emblematico il verso:
We are agents of the free
Che ricorda tanto "the land of the free" dell'inno nazionale... ma l' "AGENT" è anche l'Agent Orange, ossia il veleno, quindi il veleno dei liberi (o della libertà, in senso traslato, degli USA).
Turn You Inside Out risente, come le origini della carriera degli rem, dell'influenza new wave, ma anche del rumorismo e di certe tendenze alla baraonda raggelante e in un certo senso sperimentale, nel suo elettrico monolite sconvolto da una convulsione tutta interna.
I Remember California è un quadretto bucolico, sottolineato da una composizione psichedelica molto seventies, e una ritmica a la Joy Division, e Stipe che canta svelando ancora una volta il suo culto per Patti Smith, il suo autentico punto di riferimento artistico. Oggetto del brano è quel VERDE di cui il disco intende parlare:
Ricordo gli alberi di sequoia, macchine coi respingenti e donnole
...Limoni, lime e mandarini
...deboli tramonti, alta marea
Tutto questo, in costante contrasto con l'ambiente antropico e l'impronta dell'uomo:
I sottomarini Trident nell’Oceano
...Io ricordo gli ingorghi di traffico
Ma si tratta solo di uno sfondo, una scenografia per i fatti narrati, ricordi lontani, ora sfocati e deformati dalla lente della memoria, che si incrociano e si perdono nell'immaginazione, nel racconto che fabbrica la vita e le dona il suo senso, come nella metafora del film Big Fish: la vita come racconto della vita stessa.
Ma il trasporto della memoria e del flusso vitale dell'IO narrante ha anche natura spazio-temporale, e il brano si conclude con un viaggio istantaneo, una specie di teletrasporto, al confine:
At the end of the continent
At the edge of the continent
Che non è solo una zona di confine "politico" o topografico, ma confine innanzitutto dell'esistenza, il limite (l'argine mobile) dell' animo umano che si distende (nel ricordo del passato), come direbbe S.Agostino.

John

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