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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Black Sabbath - Vol. 4 (1972)

mercoledì 1 aprile 2009

Black Sabbath - Vol. 4 (1972)


Anno: 1972

Tracklist:
1. Wheels of Confusion
2. Tomorrow's Dream
3. Changes
4. FX
5. Supernaut
6. Snowblind
7. Cornucopia
8. Laguna Sunrise
9. St. Vitus Dance
10. Under the Sun

Master Of Reality al dilà dell'indiscutibile valore storico e creativo, non era stato altro che un'opera di autocelebrazione dei Black Sabbath, giunti al terzo disco, ormai consapevoli delle loro armi, e sicuri di sbancare anche senza rilasciare singoli e senza strizzare l'occhio a nessuno. Tuttavia nessun pezzo stravolge quanto inventato nei primi due album, anzi, per certi versi c'è una sorta di appiattimento della formula su brani il più rozzi e tozzi possibile, eccetto una Solitude, che non è che stravolga più di tanto le atmosfere di Planet Caravan (che resta insuperabile).
Volume 4 con le sue luci ed ombre invece, su tutti gli aspetti è una operazione estremamente rischiosa. è pur vero che si tratta di un disco più radiofonico (vedi Changes), e che si torna in questa sede a rilasciare singoli (Tomorrow's Dream trascina l'album verso tre dischi di platino tra USA e Regno Unito, ma sempre meno della scorpacciata degli album precedenti e del successivo), ma nonostante questo, l'album è il primo tentativo di transitare verso una formula diversa, prendere le distanze dagli esordi, e se è vero che non sempre il distacco si sente (vedi l'ossessiva Cornucopia, il pezzo più heavy del disco) e che in fin dei conti non sempre le idee sono messe a fuoco (vedi sempre la già citata Cornucopia). Un album di transizione quindi, che già introduce qualche elemento nuovo sulla tavolozza dei Black Sabbath, nuovi colori, lievemente più brillanti, uno su tutti: il bianco della neve, la cocaina, che aleggia in tutto l'album, che all'origine doveva essere intitolato proprio Snowblind, come l'omonima canzone (ma che ovviamente, causa perbenismo fu rinominato "volume 4"). Una relativa novità è la introduzione di elementi progressive; relativa perchè chi ha memoria, quegli elementi li riscontrerà anche in Paranoid, solo che ora sono notevolmente espansi e alimentati da una maggiore apertura alla melodia, che è il primo e vero elemento nuovo del disco. Un album melodico, tenue, in certi punti veramente dimesso, al dilà dei medievalismi degli intermezzi di Master Of Reality, e in un certo senso anche sperimentale, quando si tratta di mettere sul tavolo gli effetti, FX appunto, e lasciarli prendere le forme che da soli si determinano, in completa libertà, improvvisando e creando dal nulla una forma inedita a loro, più vicina al kraut rock nascente e a certo rock sperimentale che alle loro origini. Con quel minuto abbondante di intermezzo si segna la distanza da Master Of Reality: il classicismo contro la dissonanza del contemporaneo. Col quarto volume insomma, i Black Sabbath avevano già superato i loro stessi insegnamenti, e avevano già indicato una via alternativa a loro stessi, e poco importa se ci vorranno decenni perchè questa venga veramente recepita, ma se anche oggi esiste certa musica sabbathiana alternativa come Earth e Orthodox, è anche per merito del quarto volume, anche se (è bene ricordarlo) non si tratta di un album compatto e coeso come i precedenti, tantomeno un album tutto "alto" bensì, come ogni album di transizione, è un disco sbilanciato, vacillante, che in questa sua debolezza mista a spregiudicatezza riesce a trovare la sua forza.
Un tema assolutamente determinante, a prescindere dal fatto che si tratta di un concept sulla droga (fioccano i doppi sensi, le allucinazioni e le metafore, come quando si dice che la vita è come una grande over dose), è quello del distacco, del cambiamento, cioè lo scarto da uno stadio della propria vita ( o delle proprie convinzioni) ad un altro stadio, con tutto ciò che ne deriva (in termini esistenziali ma anche molto concreti, la "mancanza" che si avverte, e in un certo senso anche il disagio). Ed è bello pensare che in un album talmente coraggioso, la cosa che più affollava la mente dei componenti della band era l'idea del cambiamento, il passaggio, che qua è cantato e sviscerato nei temi e nei testi, ma è anche vissuto, a livello stilistico, nonchè a livello strutturale, in pezzi spesso cangianti e imprevedibili. Uno su tutti, lo splendido incipit con Wheels of Confusion che in pratica è formato da due parti che si bisecano scambievolmente, in un dolce passaggio molto disinvolto tra ritmi alternatamente più sostenuti o incredibilmente rallentati, ora in caduta libera a tutta velocità, ora in piena improvvisazione di un Iommi solista praticamente rinato, molto più melodico e capriccioso, ora solleticata da quel gap chitarra acustica - chitarra elettrica (una novità per la band) nel bellissimo assolo finale, uno dei più belli dai tempi di Paranoid (infatti troppo "bello" e troppo poco "bestiale" e cacofonico come nell'album precedente, dove Iommi più che altro imitava versi animaleschi... ma anche qua si avverte il cambiamento). Un pezzo che ricorda molto l'approccio live dei Sabbath, lungo e capace di lasciare abbondante respiro all'ascoltatore, l'esatto contrario delle sensazioni evocate da Master Of Reality. Ma "cambiamento" è anche la disillusione di Tomorrow's Dream (nuovo prototipo di forma-canzone sabbathiana da classifica, notevolmente alleggerita, e condita da una confortante ripetitività e melodia), e l'abbandono malinconico della ballata tutta voce-piano-mellotron Changes, in un testo tenero che mette in bella mostra tutta una impotenza nel gestire il divenire della vita come una continia tendenza al disordine, nelle idee, ed anche nelle relazioni, specie sentimentali, che sono quelle dove più si avverte il distacco tra dimensione dell'ordine interiore e la dimensione del caos fattuale che ci circonda e dal quale è impossibile prescindere, se si vuole restare calati nel reale, evitando di incorrere nel delirio di onnipotenza-ebbrezza di Supernaut, che lascia solo spazio al risveglio dal sogno lucido ed a una presa di coscienza della parzialità del reale. Supernaut è una eruzione dell'ego(ismo) quasi autistico di chi si rifugia in un mondo tutto artificiale, vistoso e apparentemente appagante, ma estremamente fragile, come tutto il resto. Il brano esprime questa libidine in un'orgia di percussioni di un Ward più tribale che mai che, con un groove trascinante, che esplode nel finale quasi "ballabile", duettando con uno Iommi agile e dinamico, così poco "ortodosso" nei confronti dei suoi stessi insegnamenti, tant'è che l'unico a mantenere farmo l'aspetto "cantilenoso" del pezzo è il buon Ozzy, che incomincia ad essere l'unico a mantenere fermo un certo stile, in questa sede reso quasi irriconoscibile, vuoi per l' alta velocità nell'assolo ti Iommi, vuoi per quel tocco esotico che proprio non ha nulla a che fare con gli esordi nebbiosi e umidicci -estremamente anglosassoni- delle origini. Proprio a proposito di "esotismo" è difficile non citare Laguna Sunrise, una enorme prova di meticciato strumentale che tributa la west coast americana, con tanto di violini che si stendono sulle corde della chitarra acustica -pulitissima- di Iommi, per un brano allo stesso tempo caldo, struggente e rilassante. Altrettanto calda e movimentata è un'altra canzone che la danza la porta nel nome stesso, St.Vitus Dance, un pezzo leggero, estivo, un diversivo hard-blues spicciolo che preannuncia quanto succederà dopo tre album. Il grado di cottura raggiunge la carbonizzazione con Under The Sun, arsa dal fuoco e dall'avanzare sempre più opprimente e violento della frusta del Sabba Nero, sta volta oracolo dello stoner rock (anche più che nell'album precedente) e della commistione stoner-doom(pesante & melodico, più melodico di quanto si possa immaginare), insomma un pezzo che ha cresciuto e nutrito schiere di seguaci. Per me il miglior brano di questi Sabbath di transizione, autenticamente caldo come tutto il lato B di questo quarto volume, anche questo, come il primo pezzo, molto ben strutturato in parti che alternano atmosfere e mood differenti, dalle impennate devastanti alle distese desertiche polverizzate dal riffing inarrestabile e incontenibile del miglior Iommi, tutte parti complementari e incastrate senza forzature, anzi, amalgamate in modo grezzo e spontaneo. Lo stesso paradigma lo si trova nella sottile (sussurrata, come la parola "cocaine") malvagità di Snowblind, che non è ne un lento (ma è una mezza ballata, forse la migliore loro ballata, nell'inciso) ne un pezzo martellante (ma contiene un assolo che è già pieno heavy metal) ne psichedelico (eppure il finale è una delle cose più drogate che i Black Sabbath abbiano potuto concepire, senza contare il testo visionario, sempre un portato di quel tema fondamentale del distacco tra realtà e sogno lucido provocato dalle droghe), ne una concessione commerciale (eppure è la massima sintesi tra lo stile coniato nel giro di un paio d'anni e la melodia).
Ma il cambiamento è anche liberazione, e allora I've opened the door and my mind has been released. E questi Black Sabbath del quarto volume, a prescindere dal fatto che un pezzo possa piacere più o meno di un altro, sono sicuramente dei musicisti più liberi.

John

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